Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nutro un’ammirazione sconfinata per quelli che si occupano di mercato. Nella mia esistenza da giornalista militante (ora sono giornalista reduce) l’ho trattato sempre poco. Mi piace – la seguo anche perché ci va un amico – la trasmissione di Alessandro Bonan su Sky, perché non si prende sul serio ma sa trattare seriamente le notizie: niente sparate clamorose, niente buttato lì per far rumore, tipo “Paolo Rossi all’Atalanta” come titolò un quotidiano sportivo un’era fa.
Il mercato una volta era ruspante, si faceva live, tutto di corsa in qualche albergo milanese. Adesso l’albergone diventa protagonista solo alla fine delle trattative. Più che per reali esigenze tecnico-burocratico-affaristiche, per permettere ai media riuniti di imbastire uno show. In realtà le trattative, come sapete, si fanno da tutt’altra parte.
Io stimo quelli che fanno il calciomercato perché hanno pazienza, applicazione, perseveranza. Tutte virtù a me sconosciute. Io dopo mezzora avrei i cabasisi fumanti. Ma la loro bravura sta anche nel trovare i nomi di centravanti argentini, terzini olandesi, trequartisti lituani, stopper brasiliani, tutti dai nomi variopinti. E non sanno soltanto come si chiamano e quindi della loro esistenza, ma anche come giocano, i loro procuratori, perfino il nome della fidanzata e del pechinese. Per me sono perfetti sconosciuti, buoni al massimo per candidarsi per i Cinque Stelle.