

Mi ritengo innocente rispetto alle accuse che mi sono state fatte. Se dovessero condannarmi per aver commesso reati, pagherò il mio conto.
Oggi, dopo quasi tre mesi di galera, ho fatto due interrogatori di cinque ore l’uno prima di essere arrestato, uno col gip dopo l’arresto e la settimana scorsa altre quattro ore con il pm. Saputo dell’inchiesta, sono rientrato in Italia per mettermi a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Ho specificato perché e quanto ho guadagnato, cosa facevo e perché sono stato pagato. Mi credano o no, non è questo il punto, il processo lo deciderà.
Oggi sono un corpo sequestrato, che deve stare in galera perché non ho detto “tutto” né confessato ciò che a loro interessa. La carcerazione preventiva, così interpretata, si trasforma in una condanna preventiva, non prevista da alcuna legge di questo Stato, anzi contraria alla ratio dell’articolo 274 del Codice di procedura penale. Una tortura che niente ha da invidiare alle pratiche staliniane di gestione delle accuse: ti salvi se dichiari il “tutto” che i pm accusatori hanno nella loro testa.
Antonio Simone
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