Simone: Il lavoro, la passeggiata e il mio nuovo soprannome (“zio”)
Nel nuovo raggio, dove adesso sono stato trasferito, sono con la parte più evoluta della popolazione carceraria: i lavoranti e qualche colletto bianco.
I lavoranti coprono molte funzioni interne alla vita del carcere (pulizie, mensa, spesa, scrivani, ecc.) guadagnano qualcosa (da 200 a 500 euro mese) e si mantengono. Il lavoro toglie molti pensieri, tanto che, chi ce l’ha, lo difende ossessivamente e con i denti. Il lavoro, come fuori, è un privilegio. Difficile che tra lavoranti scoppino delle risse, anche perché si rischierebbe di perdere il privilegio. Se c’è una discussione, è più facile che si chiami un secondino per dirimerla, invece di azzuffarsi (e questa è una scelta improponibile nella “legge” del carcere).
Verso le 17.00, quando si rientra dai lavori sparsi per San Vittore, si fa la “passeggiata” nel corridoio fino alle 18.00. A quell’ora tutti veniamo chiusi in cella, dove ognuno scambia cazzate, idee, sensazioni, speranze.
Mi chiamano “zio” e le spiegazioni sono due:
1. lo zio, nelle “famiglie”, è il più alto in grado dopo il capo
2. qua dentro sei, evidentemente, il più vecchio.
Per me vale il secondo motivo.
Siccome ogni sera mi vedono con i giornali mi chiedono: “Zio c’è qualcosa oggi per noi?”. Sperano – illusi – nell’amnistia e nell’indulto.
Ps. Ai soli fini statistici, per la cultura di quelli che credono nell’oggettività della legge, segnalo che un detenuto nella prima settimana di agosto ha fatto domanda di arresti domiciliari che, dopo i cinque giorni di prassi, sono stati negati. Nella seconda settimana, ha ripresentato la stessa domanda e, dopo i cinque giorni di prassi, è stata accolta. Diversa la domanda? No uguale, ma era diverso il gip. Quello della prima settimana è andato in ferie, l’altro ha un’altra sensibilità.
Antonio Simone
Lettere precedenti:
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34. Ho cambiato cella e raggio. E la porta è aperta
33. «Scusa. Sono un pirla. Ti amo»
32. Quel che ho ricevuto in dono e non riesco a trattenere
31. San Francesco riletto da noi carcerati
30. Il segreto (rivoluzionario) del nuovo compagno di cella
29. Quando Repubblica mi chiederà scusa?
28. La preghiera non è superstizione, ma domanda
27. Leggere “L’annuncio a Maria” dietro mura alte 5 metri
26. Sono un corpo sequestrato perché non dico “tutto”
25. Devo mentire su Formigoni per uscire?
24. L’autolesionismo e una domanda: perché fare il bene?
23. Il carcere può esser casa se l’orizzonte è l’infinito
22. Per le vostre preghiere ho vergogna e vi ringrazio
21. Il gioco dei 30, 50, 70, 100 milioni
20. Lo sciopero della fame, i cani e la spending review
19. Sciopero della fame. Appello da San Vittore
18. Che me ne faccio del prete in carcere?
17. In carcere l’Italia gioca in trasferta e comandano gli albanesi
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5. La rissa e l’evirazione. Storie di ordinaria follia a San Vittore
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2. Anche da un peccato può nascere un po’ più di umanità
1. Lettera dal carcere di Antonio Simone. Con una domanda a Repubblica
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