Simone: Il lavoro, la passeggiata e il mio nuovo soprannome (“zio”)

Di Antonio Simone
24 Agosto 2012
«Nel nuovo raggio, dove adesso sono stato trasferito, sono con la parte più evoluta della popolazione carceraria: i lavoranti e qualche colletto bianco». Trentasettesima lettera da San Vittore

Trentasettesima lettera inviata a tempi.it da Antonio Simone, detenuto nel carcere di San Vittore a Milano. Qui trovate le lettere che monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, ha scritto a Simone (la lettera di Negri può essere sottoscritta). Qui l’intervista di Simone al Corriere della Sera. Qui gli articoli di Simone pubblicati sul Foglio (1 e 2)

Nel nuovo raggio, dove adesso sono stato trasferito, sono con la parte più evoluta della popolazione carceraria: i lavoranti e qualche colletto bianco.

I lavoranti coprono molte funzioni interne alla vita del carcere (pulizie, mensa, spesa, scrivani, ecc.) guadagnano qualcosa (da 200 a 500 euro mese) e si mantengono. Il lavoro toglie molti pensieri, tanto che, chi ce l’ha, lo difende ossessivamente e con i denti. Il lavoro, come fuori, è un privilegio. Difficile che tra lavoranti scoppino delle risse, anche perché si rischierebbe di perdere il privilegio. Se c’è una discussione, è più facile che si chiami un secondino per dirimerla, invece di azzuffarsi (e questa è una scelta improponibile nella “legge” del carcere).

Verso le 17.00, quando si rientra dai lavori sparsi per San Vittore, si fa la “passeggiata” nel corridoio fino alle 18.00. A quell’ora tutti veniamo chiusi in cella, dove ognuno scambia cazzate, idee, sensazioni, speranze.

Mi chiamano “zio” e le spiegazioni sono due:

1. lo zio, nelle “famiglie”, è il più alto in grado dopo il capo

2. qua dentro sei, evidentemente, il più vecchio.

Per me vale il secondo motivo.

Siccome ogni sera mi vedono con i giornali mi chiedono: “Zio c’è qualcosa oggi per noi?”. Sperano – illusi – nell’amnistia e nell’indulto.

Ps. Ai soli fini statistici, per la cultura di quelli che credono nell’oggettività della legge, segnalo che un detenuto nella prima settimana di agosto ha fatto domanda di arresti domiciliari che, dopo i cinque giorni di prassi, sono stati negati. Nella seconda settimana, ha ripresentato la stessa domanda e, dopo i cinque giorni di prassi, è stata accolta. Diversa la domanda? No uguale, ma era diverso il gip. Quello della prima settimana è andato in ferie, l’altro ha un’altra sensibilità.

Antonio Simone

Lettere precedenti:

36. Dio è morto e anche noi non stiamo bene. Ma si risorge

35. Cosa ci sostiene? La coscienza di essere voluti

34. Ho cambiato cella e raggio. E la porta è aperta

33. «Scusa. Sono un pirla. Ti amo» 

32. Quel che ho ricevuto in dono e non riesco a trattenere

31. San Francesco riletto da noi carcerati

30. Il segreto (rivoluzionario) del nuovo compagno di cella

29. Quando Repubblica mi chiederà scusa?

28. La preghiera non è superstizione, ma domanda

27. Leggere “L’annuncio a Maria” dietro mura alte 5 metri

26. Sono un corpo sequestrato perché non dico “tutto”

25. Devo mentire su Formigoni per uscire?

24. L’autolesionismo e una domanda: perché fare il bene?

23. Il carcere può esser casa se l’orizzonte è l’infinito

22. Per le vostre preghiere ho vergogna e vi ringrazio

21. Il gioco dei 30, 50, 70, 100 milioni

20. Lo sciopero della fame, i cani e la spending review

19. Sciopero della fame. Appello da San Vittore

18. Che me ne faccio del prete in carcere?

17. In carcere l’Italia gioca in trasferta e comandano gli albanesi

16. Leggo Repubblica solo per capire se posso chiedere i danni

15. La mia speranza (cosa disse don Giussani nel 1981)

14. Ikea festeggia la condanna definitiva. Festa con incendio

13. «Che differenza c’è tra me e voi fuori? Nessuna»

12. «Sono di Cl non perché sono giusto. Ma per seguire una via»

11. «Amico, posso diventare anche io di Comunione e libertà?»

10. Gli scarafaggi, il basilico e l’urlo nella notte

9. Mi dimetto da uomo. Meglio essere un porco

8. Cresima in carcere con trans. Sono contento

7. Repubblica mi vuole intervistare. Ok, ma a due condizioni

6. In quel buio che pare inghiottirmi, io ci sono

5. La rissa e l’evirazione. Storie di ordinaria follia a San Vittore

4. Io, nel pestaggio in carcere con cinghie e punteruoli

3. «Ezio Mauro, se vuoi farmi qualche domanda, sono pronto»

2. Anche da un peccato può nascere un po’ più di umanità

1. Lettera dal carcere di Antonio Simone. Con una domanda a Repubblica

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