Sicuri che l'Isis in Iraq sia stato sconfitto?

Di Leone Grotti
19 Luglio 2018
Piccole cellule di jihadisti hanno sferrato attacchi nelle province di Kirkuk, Diyala e Salahuddin. «La gente è molto agitata, credeva fosse tornata la stabilità, invece torna la paura»
FILE - This undated file image posted on a militant website on Tuesday, Jan. 14, 2014, which has been verified and is consistent with other AP reporting, shows fighters from the al-Qaida linked Islamic State of Iraq and the Levant (ISIL), now called the Islamic State group, marching in Raqqa, Syria. More than a month after the slaying of Abdelqader and his friend Fares Hamadi, the media collective that Abdelqader belonged to _ which secretly documents life at the heart of the Islamic Stateís self-proclaimed caliphate _ has been forced into deep hiding. IS claimed responsibility for the murders in a video message warning that ìevery apostate will be slaughtered silently.î It was a grim riff on the media collectiveís name _ Raqqa is Being Slaughtered Silently, a reference to the Syrian city of Raqqa that has become synonymous with IS and its efforts to build a caliphate. (AP Photo/Militant Website, File)

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A dicembre il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha annunciato la «vittoria finale» sullo Stato islamico, cacciato da tutti i territori che aveva conquistato a partire dal 2014. A Hesinki lunedì, a margine dell’incontro con Vladimir Putin, anche il presidente americano Donald Trump ha affermato che la battaglia per sradicare l’Isis è «completa al 98, 99 per cento», visto che piccoli gruppi di jihadisti resistono solamente in Siria, completamente accerchiati dalle Forze democratiche siriane.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”] RITORNO DELL’ISIS. Eppure i fatti sembrano dire altro. Un’ondata di assassinii, rapimenti e attentati in alcune aree remote dell’Iraq fanno temere che l’Isis stia ritornando in forze. Le violenze sono avvenute negli ultimi mesi in un triangolo di territori scarsamente popolato nelle province di Diyala, Kirkuk e Salahuddin. Funzionari, capi villaggio e tribù sono stati sequestrati o uccisi, infrastrutture elettriche e petrolifere sono state fatte saltare in aria, mentre attacchi sulla direttrice Baghdad-Kirkuk, hanno reso la strada insicura.
«QUALCUNO LI AIUTA». «La gente è molto agitata, credeva che la stabilità fosse finalmente tornata e di potere finalmente viaggiare dovunque. Invece torna la paura», spiega al Washington Post Imad Mahmoud, membro del consiglio provinciale di Diyala. «I terroristi attaccano in piccoli gruppi uscendo dal deserto o dalle montagne. Sono pochi ma conducono attacchi a sorpresa e ci sono persone all’interno delle città che li aiutano».
COLPE DEL GOVERNO. Un esperto iracheno di antiterrorismo, Hisham al-Hashimi, si aspettava un ritorno dell’Isis prima o poi, «ma non così rapidamente. La tempistica è molto pericolosa». Le nuove attività dei jiahdisti potrebbe essere state facilitate dalla negligenza del governo, che non si è preoccupato di ricostruire alcune delle aree liberate dai terroristi islamici, non curandosi di «garantire sicurezza e stabilità». La nuova insurrezione resta ancora troppo debole per conquistare città o territori, ma è comunque un campanello d’allarme da non sottovalutare.
MOSUL. Un esempio della negligenza del governo è Mosul: a un anno dalla sua liberazione il sistema sanitario non è ancora ripartito, riporta Reuters, nove ospedali su 13 sono danneggiati e solo mille posti letto su tremila sono disponibili. Secondo Medici senza frontiere, presente in città, il 95 per cento dei casi di emergenza è causato dalla scarsa sicurezza delle condizioni di vita. Molte persone rimangono infortunate a causa degli edifici pericolanti che crollano, ad esempio.

@LeoneGrotti

Mappa Washington Post

Foto Ansa

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