E va bene, pazzo di un Giulianone che butti all’aria ogni calcolo politico e ogni convenienza umana. Comunque tu decida di fare, questo giornale ti darà una mano. Cosa? Pazza idea, e se invece di passare nove settimane e mezzo tra gli ulivi di Spello e i predellini di piazza San Babila ci infilassimo anche noi in questa storia della lista Giuliano Ferrara? Se invece di inseguire l’album delle figurine Casini offrissimo il nostro endorsement a Berlusconi, qualificandolo con una battaglia di cultura, idee e civiltà della vita? Obiezione: ma un partito che si batte esclusivamente per le intenzioni della vita (e per portare dentro l’articolo 3 della Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo la difesa della vita «dal concepimento alla morte naturale») non è un po’ poco? Non dimentica il resto della realtà, dalla scuola sfasciata alla famiglia tartassata dal nullismo e dalle tasse del governo Prodi? È sufficiente lottare per il diritto a nascere o non è forse necessario lottare perché la vita di tutti, come dice la Costituzione americana, sia libera di cercare la felicità? Ovvio che è così. Che vita è quella di un bambino che non trova un padre e una madre, e un padre e una madre che non siano costretti a pietire i sussidi statali per accudirlo, che non siano costretti a subire una scuola da YouTube per educarlo, che non siano costretti a subi-re la quotidiana umiliazione di un’ideologia che irride l’alleanza, la normalità, l’amicizia, il sì tra un uomo e una donna? Ma non è precisamente tutto ciò il sale di Tempi? Non è forse questa la battaglia culturale, laica e perciò cristiana, che il Foglio di Ferrara incarna? “Più vita per tutti”. Dentro questo slogan riecheggia la battaglia che fecero i dissidenti dell’Est all’epoca in cui, anni 60 e 70, dissentire dal comunismo era qualificato qui in Italia come reazionario e fascista. All’epoca in cui il pacifismo gridava sulle piazze “meglio rossi che morti”, era vietato leggere Solzenicyn e solo i cattolici popolari e i socialisti liberali frequentavano l’impresentabile Vaclav Havel, allora scrittore ridotto dal regime a operaio ascensorista e poi, dopo l’89, dopo che i comunisti italiani negarono di essere mai stati comunisti (è l’eterno Nuovo, caro Walter, ti vogliamo bene, ma comincia a pensarci anche tu a cosa sei stato, a cosa sei e a cosa vuoi essere), presidente di quella Cecoslovacchia che, dopo la “rivoluzione di velluto”, divenne simbolo dei diritti umani, della transizione pacifica dal totalitarismo alla democrazia. “Per le intenzioni della vita contro le intenzioni del potere”. Questo fu lo slogan che improntò per decenni la clandestina e vasta produzione di articoli, manifesti, appelli, romanzi, opere teatrali, idee e liste di dissidenti che Havel e i suoi amici fecero circolare nell’Europa dell’Est, quando le spie del regime erano i vicini di casa e, di qua della Cortina, sessantottini e comunisti definivano i dissidenti “fascisti” e la sinistra italiana si vantava di avere come compagni di strada gente come Eugenio Scalfari. Il capitan Fracassa di quell’onestissimo e manipulitissimo nuovo potere tecnocratico-finanziario contro cui aveva urlato Pier Paolo Pasolini. L’inventore della questione morale degli altri. Mentre lui, il Barbapapà di tutte le stagioni del potere, con una mano aveva ignorato la sua di questione morale (l’Urss, i genocidi di Mao, Pol Pot eccetera) e con l’altra aveva dato nobiltà morale a certe idee assassine anni Settanta. Dite che quei tempi son passati. Che non c’è più ombra di idee mortifere e totalitarie in Occidente. Davvero? Ma avete visto l’aria che tira in Europa? Il capo della Chiesa d’Inghilterra che dice rassegnamoci alla sharia. Il Nobel del Dna che dice rassegnamoci all’eugenetica. Il supermercato di Internet che dice rassegnamoci ad avere bambini prodotti con ovuli di donne rumene e sperma di uomini svedesi. Il medico catto-prodiano che dice che non ci sono problemi etici ad avere bambini con tre genitori. Il ricercatore che dice che si possono fare bambini ibridi, selezionati come si seleziona una vacca o un cane. Il capo del governo spagnolo che, per legge e diritto civile, dice che è vietato chiamare “mamma” la mamma, “papà” il papà. Il rosso-verde tedesco e italiano che dice “preservativi gratis per tutti”. E che tutto questo sia bombardamento ideologico a tappeto, raccomandazione imposta da commissioni impersonali ai popoli associati alla Ue. Insomma, possiamo rassegnarci all’aria compressa nei polmoni della giovinezza, al nulla che dice ai nostri ragazzi: “Finitela con il nominare le cose col loro nome, finitela con la ragione adeguata alla realtà, finitela con le evidenze umane più elementari, adattatevi a vivere come animali e, se proprio avete dubbi, pigliatevi la pillola del giorno dopo e mettetevi il goldone”? Insomma, da qualunque parte la si guardi, una battaglia culturale connessa a una lista “pro moratoria” è un’idea eccellente. Riscalda i cuori e illumina le menti di un’ideale di rivolta camusiana all’ideologia nichilista e mortifera che appesta l’aria d’Europa.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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