Anticipiamo un articolo tratto dal numero di Tempi in edicola da giovedì 14 luglio (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ho visto anche degli zingari felici, cantava Claudio Lolli quando la gran parte di voi bastardi era ancora di là da venire. Sono stato a un suo concerto quasi quarant’anni fa, purtroppo nel momento di maggiore politicizzazione dei testi. Due palle.
Io invece ho visto piangere Cristiano Ronaldo, uno che è stato fidanzato con Irina Shayk (lingua alla Fantozzi), che come Mida trasforma in oro tutto quello che tocca e non gli si muove un capello neanche in mezzo a una tempesta di sabbia o sotto un attacco di falene, come la notte a Saint-Denis, quando il Portogallo ha pianto di gioia e la Francia non aveva più lacrime.
Anche i ricchi piangono, una celebre telenovela degli anni Ottanta. Una volta andai a prendere a Malpensa il ds della Fiorentina che tornava dal Brasile. Aveva appena ingaggiato il dottor Socrates, era il dirigente del giorno. Attorno una folla oceanica. Lui chiese, petto in fuori: «Tutti per me?». No, era appena sbarcata la star della telenovela suddetta, una falsa bionda alta un metro e venti che Ronaldo avrebbe schifato.
O forse no. Perché l’altra notte, compagni e amici, nelle sue lacrime, ma soprattutto nel suo incitare i compagni nei supplementari, è stato l’essere umano che non era mai stato, malgrado i gol, i trofei o la grana. Era lì, a bordo campo, a chiedere ai colleghi, che fino alla sua uscita erano dieci più Ronaldo, di vincere, di essere forti, di essere squadra. Una grande immagine, un eccezionale insegnamento in un mondo che predica il successo singolare, il faccio tutto da solo, la libertà come soddisfazione dei propri desideri.
Poi arriva un momento in cui sono gli altri a doverti cingere la veste. O a farti vincere la Coppa.
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