Tutto all’opposto di chi pensa che la “parità scolastica” sia una questione che riguarda le “scuole dei preti”, è un fatto che la legge 62 elaborata, promossa e approvata da un governo di sinistra e da un ministro di sinistra, Luigi Berlinguer, ha definito il sistema scolastico nazionale come rete scolastica composta di scuole statali e di scuole paritarie che hanno superato un processo di accreditamento da parte dello Stato. Tant’è, recita la lettera dell’articolo 1 della Legge Berlinguer: «Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali».
Correva l’anno 2000 e l’Italia era rimasta all’epoca, insieme alla Grecia, il solo paese dell’Unione a non riconoscere il ruolo pubblico delle scuole non statali accreditate. Dunque, sulla carta, sono ben 15 anni che l’Italia le riconosce. Ma mentre in tutti gli altri paesi europei supportano questo riconoscimento con detrazioni fiscali, buoni scuola e comunque con contributi economici, in Italia (con la bella eccezione dei “buoni scuola” erogati da Lombardia e Veneto) l’unico contributo nazionale è subordinato alla disponibilità di fondi. Che è praticamente inesistente e ogni anno, in sede di approvazione della legge finanziaria, è sottoposto a trattative sfibranti e polemiche furibonde. Tanto per dare un’idea: i 470 milioni spesi dalla Stato per la scolarizzazione di un milione di studenti delle paritarie equivalgono suppergiù alla cifra che lo Stato spende ogni anno per coprire i buchi di bilancio dell’azienda dei trasporti pubblici di Roma (Atac).
Come se tutto ciò non bastasse, a sommare ingiustizia a ingiustizia, ribadendo così la sostanziale lettera morta in cui è rimasta la legge Berlinguer dell’anno 2000, intervengono di volta in volta sentenze come quella della Cassazione che ha imposto il pagamento dell’Ici a due scuole paritarie di Livorno. La Corte di Cassazione, sezione V, con la sentenza n. 14225 ha infatti stabilito che anche la scuola paritaria deve pagare il tributo sugli immobili in quanto il servizio è offerto secondo modalità commerciali dall’ente che lo gestisce. Elemento rivelatore dell’attributo “commerciale”, spiegano i giuristi, sarebbe «la retta pagata dai genitori, laddove solo l’attività svolta gratuitamente non può considerarsi imprenditoriale. Irrilevante, dunque, che la scuola operi in perdita, posto che ciò può capitare anche all’imprenditore, mentre ad integrare il fine di lucro si ritiene sufficiente che i ricavi, in via almeno tendenziale, siano idonei a perseguire almeno il pareggio di bilancio».
Di fatto, è una sentenza che mette una pietra tombale sulla parità scolastica. E che qualora venisse generalizzata nella sua applicazione (e non si capisce perché non dovrebbe esserlo), decreterebbe la chiusura di tutte le scuole paritarie e un aggravio dei conti pubblici per almeno 7 miliardi di euro l’anno, tanto costa alle famiglie italiane (di quel milione di studenti che frequentano le scuole non statali) la doppia tassa delle rette per le paritarie e i versamenti al fisco per coprire i costi della scuola statale.
Nella lettera aperta al presidente del Consiglio Matteo Renzi sottoscritta da 44 parlamentari (per la maggior parte appartenenti al Pd) pubblicata dal quotidiano Avvenire lo scorso 25 febbraio veniva ricordato che «dall’unità nazionale in poi, si è discriminato l’accesso alla scuola pubblica non statale da parte delle famiglie meno abbienti, si è trasformata una scuola a vocazione comunitaria in una scuola per ricchi e si sono costrette le famiglie che decidono di optare per la scuola non statale a una doppia imposizione, quella della tassazione generale e quella delle rette».
«Ciononostante – proseguiva la missiva – la scuola paritaria accoglie ancora oltre un milione di alunni. Tale sistema costa allo stato solo 470 milioni di euro/anno, pari a circa 450 euro/anno/alunno per la scuola dell’infanzia e primaria, mentre lo stanziamento per le secondarie di I e di II grado è praticamente inesistente. Il resto è a carico delle famiglie e del volontariato delle comunità. Evidente il risparmio per la finanza pubblica, visto che il costo standard dello studente è stato calcolato dal Miur in circa 6.000 euro/anno, oltre ai costi dell’edilizia scolastica».
E ancora: «Non sono in causa solo l’esercizio dei principi di libertà e di sussidiarietà, il superamento di inaccettabili discriminazioni, il legame con la scuola europea, ma talora lo stesso diritto allo studio, dato che in alcuni territori rurali e di montagna la scuola paritaria può costituire l’unica offerta formativa, con evidenti rischi di dispersione scolastica. Sono passati già 15 anni dall’approvazione della Legge Berlinguer che ha riconosciuto in Italia un unico sistema nazionale dell’istruzione pubblica, composto da scuole statali e paritarie. Purtroppo, a tale affermazione di principio non ha fatto ancora seguito l’adozione di strumenti concreti per favorire la parità scolastica».
In conclusione, auspicando «la scelta degli strumenti più idonei per il raggiungimento di un’effettiva parità» e in particolare «un sistema fondato sulla detrazione fiscale, accompagnato dal buono scuola per gli incapienti, sulla base del costo standard» i 44 deputati e senatori ricordavano che persino «Antonio Gramsci sosteneva che “noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai comuni. La libertà della scuola è indipendente dal controllo dello Stato”». Del resto, concludevano i parlamentari «se fosse pubblico solo ciò che è statale, l’Italia non potrebbe vantare due giganti della pedagogia moderna come Maria Montessori e don Lorenzo Milani».
Ma, come si è visto in questi giorni in occasione della sentenza della Corte di Cassazione, a quindici anni dalla sua promulgazione e nonostante l’ampio consenso trasversale che essa gode, la legge per la parità scolastica resta solo sulla carta. Non è stata dotata di risorse adeguate a realizzare una concreta parità. E le scuole paritarie rimangono in balìa di un contenzioso fiscale che ciascuna Corte interpreta secondo la propria sensibilità giuridica e, purtroppo, talora anche ideologica.
In particolare, come dice Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale «serve maggiore chiarezza normativa» perché «la stratificazioni delle leggi consente varie interpretazioni» (e non sono certo una soluzione i “tavoli” di trattative tra Stato ed esponenti ecclesiastici tutte le volte che sorgono conflitti e sullo status delle scuole paritarie). Dunque occorre fare chiarezza una volta per tutte, togliendo dall’aura di incertezza del diritto e dall’ambito dei temi “confessionali” il dettato e lo spirito della legge Berlinguer.
E non c’è che un modo per sciogliere ogni possibile nodo e contenzioso di natura fiscale implicato nella legge per la parità scolastica: una ulteriore legge. La presente legge che Tempi offre all’iniziativa popolare per tramite una raccolta di firme che verrà presentata in Parlamento e per la quale sarà quindi necessario raccogliere almeno 50.000 firme.
Norma per la parità fiscale scolastica in applicazione alla Legge 2000, 62 (detta “Legge Berlinguer”)
Premesso quanto previsto all’articolo 1 della Legge 10 Marzo 2000, n. 62 denominata «Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione» che « Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. La Repubblica individua come obiettivo prioritario l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita», la presente legge, composta di questo unico articolo, stabilisce che tutte le scuole che compongono il sistema nazionale di istruzione – così come definito all’articolo 1 della succitata legge 2000 n.62 – sono soggette al medesimo, equivalente e/o equipollente, regime di imposizioni e di esenzioni fiscali a cui sono soggette le scuole statali.
Post Scriptum
È necessario dare risonanza a questa iniziativa. A settembre, se la situazione non cambierà, si organizzerà la mobilitazione e i banchetti in tutta Italia per sottoscrivere e portare al più presto la legge al voto del parlamento italiano. È chiaro che, qualora il governo Renzi annunciasse di aver accolto e approvato lo spirito e la sostanza di questa nostra proposta di legge, saremmo ben lieti di annunciare l’immediata cessazione della mobilitazione e raccolta firme.
Foto scuola da Shutterstock