La sanità italiana è inferma. Certamente a livello monetario. All’alba della prima finanziaria Prodi-Padoa-Schioppa il caso sanità va considerato a fondo, se si pensa che mediamente il 60-70 per cento dei bilanci di ogni singola Regione è vincolato a finanziare il proprio sistema sanitario. Migliaia di milioni. Non fa eccezione l’Emilia-Romagna, nota vetrina della sanità progressista e – nel teorema della sinistra – prova provata della sostenibilità di una ‘ottima’ sanità ‘universalista statale’. Naturalmente, nell’immaginario di sinistra, è alternativa al modello lombardo, troppo ‘supermarket’. Nei soli primi tre mesi dell’anno, il passivo emiliano-romagnolo è a quota 200 milioni di euro. In realtà il malessere è generalizzato a molte altre Regioni. Tuttavia la febbre alta emiliana stupisce, perché solo pochi giorni prima del disvelamento dei nomi del neogabinetto prodiano, la giunta, con il suo assessore alla Sanità aspirante mancato ministro Giovanni Bissoni, aveva magnificato i propri conti del 2005. «Siamo in equilibrio di bilancio», dicevano.
Quell”equilibrio’ è un eufemismo politico. Dietro c’è un iceberg di espedienti e artifici contabili che vanno avanti da anni. L’ultimo in ordine di tempo è la cancellazione dalle passività e il rinvio al futuro delle ferie non ancora godute dei dipendenti. Solo per l’Asl di Bologna, la più grossa e la più indebitata, è un trucchetto (ordinato con delibera dalla Giunta regionale) che toglie dai conti in rosso quasi 10 milioni di euro. A Ravenna, altra Asl sofferente, sono più di 11 milioni in meno dal passivo 2005. Moltiplicato per tutte le 17 Asl della regione, fanno una bella riduzione del deficit. Sulla carta. L’equilibrio di bilancio è perciò molto dubbio. Per ordine di servizio regionale, tutto quel che di passivo era rinviabile dal 2005 al futuro è stato fatto. Ma, come detto, il 2005 è solo la punta di disinvolte gestioni dei bilanci.
Negli anni passati, pur con fatica, sono emersi altri espedienti. Uno dei più clamorosi è la massiccia vendita di beni patrimoniali delle Asl. Nel 2004 la giunta autorizza varie Asl a vendere 20-22 milioni di beni, iscrivendo in fretta e furia le entrate nei bilanci. Il problema è: quei beni – terreni, case, palazzi – erano stati già effettivamente venduti, quando il bilancio iscrive le entrate? E a quegli importi? Sono stati rogitati o vengono iscritti a bilancio per ridurre le perdite prima ancora anche solo di avviare aste pubbliche? Passa il tempo e tutto s’aggiusta, anche nelle carte contabili, ma il dubbio che si sia proceduto prima a tavolino che sul mercato è forte. Un segnale forse più clamoroso del come gestire i bilanci all’emiliana, da un’Asl che non esiste più: la piccola ex Bologna nord, ora fusa nel calderone dell’unica Asl bolognese. Nel 2003 il passivo ufficiale è di circa 15,8 milioni. L’Asl ha venduto il vendibile. Palazzi, bar, terreni, risaie. In bilancio ci sono così quasi 7 milioni di euro di ‘plusvalenze’. Si va a vedere e si scopre che le plusvalenze sono gonfiate. Gonfiatissime. Un bar vale 146 mila euro. Viene venduto a 182 mila. A rigore la plusvalenza non arriva a 30 mila euro e invece ci troviamo scritto un più 182 mila. Non rogitati, all’epoca. Ma la lista è ancora lunga. Un palazzo a Budrio vale 4,8 milioni. Viene venduto a poco più di 2 milioni. A rigore c’è perdita. Una minusvalenza. Invece la scrittura contabile riporta una plusvalenza di 2 milioni e spiccioli. E sempre senza rogito. Rifacendo tutti i conti con le vere plusvalenze, la somma non arriva a 700 mila. Il bilancio riporta invece quasi 7 milioni. Quasi tutti senza rogito. Pizzicata con interrogazione e stampa, la giunta fa spallucce. Sostiene che si può incamerare all’atto di vendita anche senza rogito, che nessuno ha avuto niente da ridire e che ora, anni dopo il fatto, è comunque tutto rogitato. Sulle plusvalenze gonfiate il silenzio. Tante grazie, tutto è oramai sepolto. Tuttavia, per evitare futuri problemi e ‘intercettazioni’, la nuova Asl bolognese non contabilizza le plusvalenze da vendite di patrimonio che finiscono in una apposita voce di bilancio per l’edilizia.
Ispettori ministeriali sterilizzati
L’altra immensa voce che non appare nei bilanci emiliano-romagnoli è quella degli ammortamenti anno per anno degli investimenti. Un’operazione in realtà frutto dell’accordo politico del 2001, che ha portato il finanziamento del sistema sanitario al 6,8-6,9 per cento del Pil. Ciò permette di non visibilizzare dai bilanci sanitari regionali milioni e milioni di euro. Difficile sapere quanto. Un esempio datato, sempre sull’Emilia-Romagna: sul triennio 2001-2003 alla giunta regionale scappa scritto che la perdita d’esercizio era di 541 milioni, pur avendo dichiarato ufficialmente 286 milioni. La differenza erano appunto gli ammortamenti non contabilizzati. Le singole Asl sanno quant’è questa voce, perché dovrebbero prima o poi coprire questi ammortamenti. Nessun manager delle Asl tra Piacenza e Rimini in realtà sa come farlo. Sperano tutti che Roma paghi. Nel frattempo nel bilancio regionale della sanità, tutto politico, questa voce non compare. Qualcun altro chiederà: e la magistratura contabile? I revisori? I controllori vari? Anche qui la giunta ha buon gioco: nessuno obietta, replicano ostentando sicurezza. È così, anche se anni fa un tenace ispettore ministeriale ha creato molti mal di pancia tra le Asl romagnole. La giunta è riuscita a sterilizzare ‘l’inquisitore’ buttandola in politica, etichettando il ‘crociato’.
Per trarre qualche morale da queste punte di iceberg ci vorrebbe un trattato. Tre accenni si possono però sintetizzare: primo, nessuna azienda, privata o pubblica che sia, potrebbe permettersi i lussi contabili delle Asl. I bilanci sanitari sono bilanci politici. Secondo, gli esempi indicati sono forse solo l’aspetto emergente di ‘tecniche contabili’ ben più problematiche e diffuse e che non danno la realtà vera del deficit. Terzo, il vero grande quesito: è sostenibile un simile modello sanitario ‘statale’? L’Emilia-Romagna teorizza di sì e in casa ha chi sostiene che, in sanità, la sussidiarietà non si può fare. Per questo va tenuta sotto osservazione. La difesa standard è che il sistema sanitario regionale è sottofinanziato. Roma non ‘sgancia’ abbastanza. Eppure, dall’epoca Bindi al governo Berlusconi, si è passati dal 4,5 al 6,9 per cento del Pil per la sanità. Il finanziamento statale, in 15 anni, è sempre costantemente aumentato. Mai diminuito, qualunque fosse il governo. Nonostante ciò, le casse sanitarie soffrono permanentemente. Le Asl emiliane pagano i fornitori anche dopo 22 mesi. Si può andare avanti così? E fino a quando? A quale cifra si potrà dire che il sistema non è più sottofinanziato? Anche i governanti emiliano-romagnoli cominciano a far fatica ad ostentare sicurezza. Stavolta non c’è più l’alibi Tremonti. C’è Padoa-Schioppa.