Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Avrei dovuto parlare di Donnarumma? Mah, compagni amici e bastardi di ogni genere e grado, sapete come la penso. Non sopporto le bandiere (nel calcio), né chi le agita inebriandosi di valori che sanno di fritto stantìo, di finto. Meglio i mercenari, purché facciano bene il proprio lavoro.
A proposito di questi, è tornato in pista Fabio Capello facendosi ricoprire d’oro dai cinesi di Suning, gli stessi dell’Inter. Nel suo staff molti combattenti e reduci, tra cui Zambrotta «con cui abbiamo vinto due scudetti sul campo alla Juve». Gli interisti e i moralisti in servizio permanente effettivo (spesso coincidono) si sono rivoltati, a tutte le latitudini, dall’Italia a Dubai dove sverna Walter Zenga. «Ohi cinesi, ma avete sentito Capello? L’Inter ora è vostra, come potete tollerare tutto ciò?».
Ora, a parte che i cinesi mi paiono tipi pragmatici che neanche a casa loro se la menano tanto con il passato con Mao, la Lunga Marcia e il Fiume Giallo, come facciamo noi con le Cinque Giornate, il Piave, il 25 aprile, è bene chiarire un fatto. Spesso, anche per casi giudiziari più clamorosi di quello che riguardò la Juventus nel 2006, sento dire «le sentenze si rispettano». Una frase ad minchiam (copyright professor Scoglio). Le sentenze si scontano, ma non si accettano né si rispettano se uno pensa che siano errate. Io posso continuare a proclamarmi innocente, se lo sono e anche se non lo sono, perché la libertà di espressione non è stata ancora cancellata.
Riguardo al biennio 2004/2006, poi – e lo direi anche se ci fossero di mezzo Frosinone e Benevento – se avessi faticato, allenandomi e giocando, per due anni, di quelle vittorie direi: me le avete tolte, ma sono mie.
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