Tira e tira alla fine la corda si spezza. Ed è quello che è successo tra la Francia e il Ruanda. Sabato 25 novembre Dominique Decherf, ambasciatore francese in Ruanda, lasciava il piccolo stato dell’Africa centrale in seguito alla rottura diplomatica tra i due paesi, dovuta a un mandato d’arresto internazionale emesso dal magistrato francese Jean-Louis Bruguière contro una decina di personalità politiche e militari ruandesi accusate di essere responsabili della morte di tre francesi, pilota, copilota e meccanico di bordo, che componevano l’equipaggio dell’aereo abbattuto da un missile il 6 aprile 1994 mentre stava atterrando all’aereoporto di Kigali, la capitale. L’aereo, un Falcon 50, era stato offerto dalla Francia all’allora presidente ruandese Juvénal Habyarimana, che perse la vita nella sciagura.
Poche ore dopo cominciava in Ruanda l’ultimo genocidio del XX secolo. In poco più di tre mesi vennero massacrate 800 mila persone colpevoli di essere di etnia tutsi o dissidenti dell’etnia hutu. Secondo Jean-Louis Bruguière, che indaga dal marzo del 1998, l’attuale presidente del Ruanda, Paul Kagame, sarebbe responsabile dell’abbattimento. Così facendo, sostiene Bruguière, «il generale (Paul Kagame, ndr) aveva deliberatamente optato per un modus operandi che, nel contesto particolarmente teso del Ruanda, (.) non poteva che portare a delle sanguinose rappresaglie». Sulla forma già si può far notare che un genocidio è qualche cosa di più che una rappresaglia. Poi che quel genocidio non fosse una «reazione» improvvisata degli hutu, come sembra voler suggerire Bruguière, ma il risultato di una pianificazione, lo spiegerà anche un rapporto Onu del ’99.
Quell’improvvisa incompetenza
Veniamo alle cosiddette prove. Secondo il magistrato infatti le forze armate governative «erano mal equipaggiate e poco addestrate (.) e inoltre non disponevano che di deboli mezzi antiaerei e non avevano missili». Ma non è vero, come ha subito fatto notare Patrick de Saint-Exupéry il 25 novembre in un bell’articolo pubblicato dal Figaro. In un rapporto pubblico della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Ruanda si può leggere infatti che nel 1994 le forze armate governative disponevano di 40 o 50 missili Sam 7 e di 15 missili francesi Mistral. Se non bastasse, scrive sempre il giornalista francese, a contraddire Jean-Louis Bruguière viene anche la testimonianza di Théoneste Bagosora, accusato di essere l’ideatore del genocidio. Di fronte al tribunale internazionale sul genocidio ruandese Bagosora ha ammesso che nel 1992 le autorità ruandesi all’epoca avevano acquistato dei missili antiaereo Sam 16. Dello stesso tipo cioè di quelli utilizzati per abbattere l’aereo di Juvénal Habyarimana. Insomma, i mandati di arresto internazionali emessi da Bruguière si fondano su un’indagine che sembra quanto meno un po’ approssimativa.
Ora, Jean-Louis Bruguière è noto per essere un abile investigatore, capace di smantellare pericolosi gruppi terroristi. La sua improvvisa incompetenza lascia perplessi. Torna alla mente quello che successe il 7 aprile 2004, durante la cerimonia per il decennale del genocidio. In quell’occasione Paul Kagame ricordò che paesi come il Belgio, gli Stati Uniti e le stesse Nazioni Unite «hanno chiesto perdono» per non aver fatto nulla per impedire il genocidio «e noi lo abbiamo concesso». Un’ammissione di responsabilità, aggiunse Kagame, sempre rifiutata dai francesi nonostante siano stati loro ad avere «armato e addestrato, sapendo quello che facevano», i soldati e le milizie estremiste che hanno partecipato attivamente al genocidio. Il francese Renaud Muselier, segretario di Stato agli esteri presente alla cerimonia, si offese e lasciò il Ruanda in anticipo sul programma. Da Parigi il ministro della Difesa, Michèle Alliot-Marie si disse indignata. Ma la Francia non si limita a declinare ogni responsabilità e a puntare il dito contro Kagame, che i dirigenti francesi considerano come l’uomo degli americani responsabile di aver fatto perdere alla Francia il controllo sul Ruanda. In un articolo di Le Monde nel marzo 2004 Kagame venne così attaccato: «Da dieci anni [il regime di Kigali] è all’altezza dell’orrore dei massacri commessi contro i tutsi».
Colombani e i servizi
Ora, se è possibile che ad abbattere l’aereo di Habyarimana siano stati gli uomini di Kagame, e se è vero che il regime di Kigali, certo colpevole di esazioni e di crimini, si può difficilmente considerare come un modello di democrazia, è anche vero che fu il governo del clan Habyarimana, con la complicità della Francia che lo sostenne finanziariamente, militarmente e politicamente, che organizzò e realizzò il genocidio. L’indagine di Bruguière contro Kagame sembra quindi riprendere con altri metodi una prassi consolidata. Merita di essere ricordato quanto ha scritto Jean-Paul Gouteux, un ricercatore in entomologia medica e buon conoscitore dei paesi africani morto lo scorso luglio. In un suo libro del 1998, Un génocide secret d’Etat. La France et le Rwanda 1990-1997, Gouteux sostenne che alcuni giornali e alcuni giornalisti, tra i quali Le Monde e il suo direttore, Jean-Marie Colombani, sul Ruanda si erano prestati a un’opera di di-sinformazione, probabilmente per conto dei «servizi». Per l’occasione Paul Kagame e gli uomini dell’Fpr dovevano essere descritti come i veri responsabili del genocidio. Jean-Marie Colombani ha fatto causa a Gouteux, ma ha perso sia in primo grado che in appello.
Il giudizio, cassato dalla Cassazione, è stato di nuovo favorevole a Gouteux nel processo d’appello conclusosi in marzo. Già in un libro del ’95 scritto da Claude Silberzahn, ex direttore dei servizi segreti (Dgse), Au Coeur de secret, a proposito di due interviste pubblicate da Le Monde si poteva leggere che «il momento della loro pubblicazione è stato a lungo “complottato” con gli amici che ho da molto tempo in questo giornale – e in particolare (.) Jean-Marie Colombani che le ha accolte. La scelta di Le Monde era stata dettata dalla mia volontà di toccare le capitali straniere, l’ambiente decisionale parigino». Oggi Le Monde sembra aver cambiato direzione. Il 28 novembre con un articolo del corrispondente da Nairobi Jean-Philippe Rémy il quotidiano metteva in evidenza le lacune dell’indagine di Jean-Louis Bruguière.