Rosetta, il film che ha vinto tra sorpresa e scandalo l’ultimo festival di Cannes, è arrivato nelle sale italiane proprio mentre arrivava la notizia della morte del grande Robert Bresson. Una coincidenza carica di significati. Bresson è stato il più grande e vero interprete cinematografico del malessere giovanile. E Rosetta è un film che senza l’insegnamento di Bresson non avrebbe mai potuto essere girato. La storia è quella di una ragazza, figlia di emigrati italiani in Belgio, che lotta sino allo spasimo per avere un lavoro dignitoso. Ma il privato della ragazza ha un punto buio che ogni volta rimette in discussione le conquiste acquisite: è la madre alcolizzata che Rosetta, sempre con la solita caparbietà, cerca di restituire a una vita degna. La vita di Rosetta è una lotta continua, senza respiro. La realtà le viene addosso senza sconti e senza pietà: come se fosse su un ring, dove concedersi un attimo di pausa significa incassare un pugno che ti piega le gambe. Anche la straordinaria Rosetta, Emilie Dequenne, è un’attrice non solo non professionista, ma è una “non-attrice”, proprio come esigeva Robert Bresson (si può leggere il suo credo in una bella intervista realizzata da François Truffaut e pubblicata or ora da Minimum fax). Eppure tra Rosetta e Bresson, tra tanti punti di familiarità, c’è anche un’angosciosa distanza. Che è spiegabile con due ragioni. La prima è che la grandezza poetica di Bresson non è riproducibile come una formula. È un miracolo, che permetteva al regista di scovare un lampo di luce – mai gratuito, mai scontato – anche nelle situazioni più buie. Il suo cinema, che aderiva senza presunzioni alla bellezza drammatica del reale, ad un certo punto, urtava la presenza fisica del mistero: poteva essere uno sguardo, una carezza, una parola. Questo conferiva lo scatto indimenticabile, la commozione, la bellezza a tutta la superficie del film. I fratelli Dardenne, registi di Rosetta, non hanno questa grazia. Sono straordinariamente coerenti, ma la loro coerenza alla fine rischia di togliere il respiro al film. La seconda differenza invece appartiene al contesto. Sociologicamente parlando, il mondo di Rosetta non è più il mondo Mouchette, il più celebre personaggio di Bresson. È un mondo più ricco e più crudele, più fortunato e più cinico, più libero e più livoroso. Rosetta probabilmente vorrebbe essere toccata da un bressoniano lampo di luce, ma la realtà intorno è inerte, muta, spenta. Non c’è nessuno sguardo diverso che si ponga su di lei. Il mondo di Rosetta è un mondo intollerabile, per certi versi insostenibile. Ma qui sta la grandezza del film. Perché sbatte in faccia a quel mondo stesso i suoi fallimenti, le sue atrocità. Perché rovina la festa di questa idiota euforia diffusa dai trionfi del libero mercato. Rosetta è una figlia di quel mondo. Conoscetela e poi diteci se un mondo così non andrebbe davvero preso a calci. E invece tutti lo adulano…
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi