Alzi la mano chi è sorpreso dal bailamme romano. Noi, no. Al massimo siamo stati spiazzati dalla rapidità con cui la giunta Raggi è implosa, ma che questo fosse inevitabile non ci sorprende. È il Movimento Cinque Stelle a essere una contraddizione in termini: se sei un “non partito” con dei “non politici” che rivendicano di poter amministrare in nome di una “non competenza” ma solo grazie a trasparenza (presunta) e streaming, dove vuoi andare? Certo, finché sei all’opposizione e in campagna elettorale puoi sfruttare il malcontento e costruire un consenso, ma poi, quando si tratta di fare, il testacoda è inevitabile.
VITTIME DEL RISENTIMENTO. Provate a leggere le cronache sul caso Raggi-Muraro. Cosa si capisce? Poco. Però si capisce bene, come ha notato nei giorni scorsi Giorgia Meloni, che il M5S agisce come i peggiori partiti con l’aggravante di non essere un partito. Di fronte all’iscrizione dell’assessore Paola Muraro nel registro degli indagati, la questione nel Movimento non è tanto sul merito (cosa ha fatto? è grave? ci sono prove solide di un malaffare?), ma è su chi sapeva, quando, perché non l’ha detto? Quindi è tutto un ginepraio di email spedite, sussurri, mezze verità dette nei corridoi, eccetera. La trasparenza diventa qui il sapone con cui insaponare la corda dell’impiccato. Ed è un cortocircuito da cui non si esce, non solo perché il garantismo da quelle parti è una parolaccia, ma pure per una questione – ci verrebbe da dire – che riguarda la natura stessa del movimento. Se nasci dal risentimento, del risentimento sarai vittima.
TRAVAGLIO IN TILT. A proposito di cortocircuiti. Leggere Marco Travaglio oggi è uno spasso. L’editoriale del Fatto è un maldestro tentativo di arrampicata su specchi scivolosi. Il direttore del giornale che pubblicò le manette in prima pagina si scopre cautamente garantista. Sia chiaro, secondo Travaglio, Muraro si deve dimettere perché non ha detto la verità ai giornali, negando di sapere di essere iscritta nel registro degli indagati. Ma per il resto, «poiché i fatti addebitati sono tuttora ignoti», siccome «in questi due mesi ha lavorato bene e ha ripulito Roma», poiché «da quel che si legge sui giornali non ci sono motivi sufficienti», allora non avrebbe dovuto dimettersi. Che bello, applausi.
E POI C’È LA REALTA’. L’analisi più lucida sulla vicenda l’ha scritta oggi il politologo Giovanni Orsina sulla Stampa. Il M5S si fonda su principi nati per soddisfare l’indignazione, «e la soddisfano, ma non giovano a governare». Anche perché i quattro assiomi su cui si fonda in “non partito” funzionano nella teoria, ma non nella realtà. Uno: i grillini nascono contro le «oligarchie», ma poi oggi, come si vede, loro stessi hanno creato un’oligarchia «ancora più oscura e meno regolamentata». Due: dicono che le competenze non servono, ma poi, come accaduto, Raggi s’è presto accorta che per governare un garbuglio incancrenito come Roma, «s’è dovuta rivolgere a chi competenze legali, amministrative e contabili le ha». Tre: chi amministra deve farlo per civismo, ve pagato poco. «Roba da libro Cuore», scrive Orsina, e infatti «Raggi ha allargato i cordoni della borsa». Quattro: occorre essere onesti oltre ogni ragionevole dubbio. Il problema è che l’amministrazione pubblica del nostro paese è una così complessa «ragnatela di norme mal scritte e contraddittorie» che è da illusi pensare che «si possa sfuggire a lungo dalla magistratura». E infatti, Raggi s’è rivolta a persone competenti come Muraro e «le ha pagate e ha tollerato che fossero indagate. Con buona pace dei principi non negoziabili del Movimento».
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