Roberto Perrone, l’angelo custode della nostra amicizia
Il funerale di Roberto Perrone sarà mercoledì 1 febbraio alle ore 11.00 presso la parrocchia San Pio V via Lattanzio 60, Milano.
Fred Perri è stato per noi un antidoto all’ipocrisia, ma Roberto Perrone è stato per noi l’angelo custode di un’amicizia maestosa. Scriveva su questo giornale dalla sua fondazione («ragazzacci, prima di voi, c’ero io. Sono il collaboratore più vecchio della banda», rivendicava con un certo orgoglio), coinvolto tra i primi nella fondazione di Tempi, quando ancora sembrava un progetto editoriale senza capo né coda, una “mattana” di Luigi Amicone, suo sodale anarcoresurrezionalista dagli anni dell’università. E a quell’amicizia Perrone è rimasto fedele sempre, non perdendo un numero, nemmeno uno, fino all’ultimo, quando già la situazione s’era fatta dura e la malattia, velocissima e spietata, lo stava portando via a noi, alla moglie Emanuela e ai figli Cecilia, Rachele, Giovanni.
Non ha mai chiesto un soldo, non ha mai fatto storie, non ha mai preposto di concordare una linea editoriale per garantire la presenza della sua rubrica “Sport uber alles”. Gli interessava l’amicizia, non di essere d’accordo su tutto.
L’ode al capocollo
Perrone se ne va a 65 anni dopo una brillante carriera nel mondo del giornalismo che lo ha portato a girare il mondo raccontando, come pochi altri, i personaggi dello sport, del calcio, del nuoto, della pallanuoto, e della cucina – amatissima – sempre con quello stile che sapeva dare notizie senza annoiare e svelare gli uomini senza fermarsi alla crosta dei giudizi più superficiali. E poi i romanzi, nella forma del giallo e del noir, che ora diventeranno serie tv, ci diceva, perché Perri aveva il passo dei grandi scrittori che di tutto sanno dire perché di tutto sono curiosamente affamati.
Nella foto qui sopra lo vedete scherzare con Luigino. Eravamo al Mudec, ristorante stellato di Milano ed eravamo lì grazie a lui. Perrone aveva vinto un premio per un articolo scritto su Tempi: una sublime “Ode al capocollo” in reazione a non sappiamo più quale rottura di scatola salutista sulla carne e gli insaccati; e la serata era stata uno spasso non solo per il buon cibo e il buon vino, ma soprattutto per lui che, ovviamente, ne era stato il mattatore principe, con battute a raffica e aneddoti su tutto quanto s’agita sull’orbe terracqueo.
Come va?
Il suo Fred Perri “cinico e baro” era la maschera con cui denunciava su Tempi le ipocrisie che circondano il mondo dello sport, ma più in generale la vita, le piccole e grandi miserie con cui ognuno giustifica le sue idiosincrasie e i suoi peccatucci, le bugie con cui tutti si è pronti ad avallare qualsiasi cosa in nome di un tornaconto o di un affare.
Ma lui, per noi, era l’esempio del contrario, di una fedeltà disinteressata ed affettuosa che andava aldilà di un comune mestiere che lui prendeva sempre molto sul serio, ma mai troppo sul serio. E così ci chiamava anche quando non era necessario concordare nessun “pezzo”, solo così, solo per amicizia, solo per “sapere come va” e se c’era modo di trovare un momento per vedersi a pranzo «coi giovinastri della redazione» («però, mi raccomando, portate anche la Giojelli»).
Se decidessi io le cose
Quando ormai s’era capito che la malattia non era uno scherzo, aveva scritto per Tempi un articolo per riassumere tutte le disgrazie dell’anno (compresa la retrocessione del suo adorato Grifo), che iniziava così: «Te Deum laudamus anche per questo 2022, perché se non Ti lodassimo anche quando tutto va storto che senso avrebbe tutta la nostra vita?».
Già, che senso avrebbe? Le parole a chiusura dell’articolo risuonano oggi come il congedo di una grande anima: «Che anno, ragazzi. Ne avrei fatto volentieri a meno, sarei passato al 2023 bello dritto filato. Però Te Deum laudamus perché se decidessi io le cose andrebbero pure peggio. E di questo sono più che sicuro».
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