Sul n. 18 di Tempi, nella rubrica “Passate al setaccio”, è stato introdotto il tema della spesa per Ricerca e Innovazione tecnologica, che nelle indagini statistiche viene normalmente denominata Ricerca e Sviluppo (R&D nelle sigle inglese e francese). Vale la pena tornare sulla questione per precisare i termini dell’arretratezza italiana in Europa e di quella dell’Europa rispetto a Usa e Giappone. La spesa dell’Italia per R&D in rapporto al prodotto interno lordo (pil) non solo è inferiore alla media dell’Unione europea (Ue), ma anche una delle più basse fra i 15 paesi aderenti. L’Italia dedica all’R&D l’1,02 per cento del suo pil, ma la media Ue è quasi doppia: 1,86 per cento. A livello di spesa nazionale è il quart’ultimo paese dei 15, seguita soltanto da Grecia, Portogallo e Spagna e superata negli ultimi anni dall’Irlanda. Il trend italiano è particolarmente preoccupante perché nel paragone fra i dati del 1985 e quelli del 1998 (gli ultimi disponibili) si scopre che la spesa italiana è diminuita del 10 per cento, scendendo dall’1,13 all’1,02 per cento, mentre nello stesso arco di tempo quella dei tre paesi che seguono l’Italia è quasi raddoppiata. Più in generale, si osserva che la spesa dei piccoli paesi europei tende a crescere mentre quella dei grandi (Francia, Germania e Gran Bretagna) tende a diminuire. Se portiamo il raffronto sul piano internazionale, osserviamo, come già scritto sul n. 18, che la spesa di Usa e Giappone è nettamente superiore a quella europea: 2,58 e 3,03 per cento del pil rispettivamente contro l’1,86 della Ue. Solo Finlandia e Svezia, fra i paesi europei, possono rivaleggiare coi due colossi extraeuropei. Va notato che lo scarto fra Usa e Giappone da una parte e Ue dall’altra si sta ampliando soprattutto perché nei primi due paesi continua ad aumentare il contributo del settore privato alle spese per R&D, mentre in Europa resta stazionario. Attualmente la parte delle imprese negli investimenti in R&D è pari al 64 per cento del totale nella Ue, al 75 per cento in Usa e Giappone.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi