L’impatto del global warming è sempre più «duro, pervasivo e irreversibile», e negli ultimi decenni i cambiamenti climatici «hanno avuto impatti sui sistemi naturali ed umani in tutti i continenti ed oceani». Come c’era da aspettarsi, non ci è andato leggero il report che l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) ha reso pubblico questa mattina, un testo dove vengono messi in luce i danni provocati sull’ambiente dal riscaldamento globale e le relative responsabilità dell’uomo. Quarantotto pagine che la commissione Onu ha approvato nella sua riunione di Yokohama, raccogliendo i contributi di più di 1700 accademici, ricercatori ed esperti da tutto il mondo, e dove la tendenza pragmatica del Panel diventa sempre più rimarcata, con amplissimo spazio all’ipotesi di come potrà essere il futuro della terra se non dovessero cambiare le abitudini dei suoi abitanti, tra eventi meteorologici estremi, riduzione dei raccolti agricoli e persino il possibile insorgere di conflitti tra i popoli.
DALLA SICCITA’ ALLE GUERRE. In effetti, a leggere quel che scrive il rapporto, si trovano declinazioni di vario genere sugli effetti del global warming: si parla, ad esempio, della sicurezza alimentare e dell’accesso al cibo per tutti i cittadini del mondo, messo a serio rischio dalle ondate di calore che fanno morire le piantagioni. In più, secondo l’Ipcc c’è il serio pericolo che diminuisca la biodiversità, poiché tante piante o animali andrebbero estinguendosi. Altra incognita è la siccità d’acqua, sempre più scarsa per un numero sempre maggiore di persone, e ci sarebbe da fare i conti pure con l’acidificazione degli oceani, fenomeno di cui l’uomo risentirà con la perdita di specie marine e pesci di cui cibarsi. E infine si arriva a parlare della sicurezza civile dell’uomo, poiché secondo gli esperti dell’Onu l’insieme di carenza d’acqua, diminuzione di cibo e aumento della povertà genereranno una crescita di migrazioni e movimenti, con possibilità di guerre civili e tensioni.
25 ANNI DI RICERCHE PER L’IPCC. Insomma, uno scenario apocalittico, garantito dal fatto che ormai gli impatti indesiderati del global warming hanno superato ogni effetto benefico dello stesso sulla vita della terra, e che tutto peggiorerà ulteriormente se, come afferma il report, da qui al 2100 le temperature cresceranno in media di 2 gradi, col rischio che si arrivi ad una catastrofe se invece l’aumento fosse di 4 gradi. Toni per nulla nuovi all’Ipcc che, in più di 25 anni di ricerche e indagini, ha sempre tenuto una linea allarmista, salvo poi essere sbugiardata dalla realtà dei fatti, dove la temperatura non aumenta più come prospettano gli scienziati Onu e dove i legami tra fenomeni estremi ed emissioni da attività dell’uomo di CO2 non sono correlate.
L’INCIDENZA SUL PIL. E anche nel report di oggi i toni funesti all’improvviso si mitigano quando si parla degli effetti del surriscaldamento del clima sull’economia del mondo: qui si dice che, se davvero le temperature nel prossimo secolo cresceranno di due gradi, tutto ciò avrà un impatto sul Pil globale in un range tra lo 0,2 per cento e il 2 per cento. Cifre ridotte se si pensa che l’ultimo report dell’Ipcc, datato 2007, ospitava la previsione dell’economista inglese Lord Stern, che invece quella perdita la stimava in maniera catastrofica tra il 5 e il 20 per cento. Tutto questo per dire che, al netto di modelli fatti al computer, dell’allarmismo dell’Onu rimane poco, e che ormai con i suoi toni da fine del mondo anche la politica ha iniziato a farci i conti. Settimana scorsa sul Wall Street Journal Matt Ridley scriveva che ormai il dibattito non è più tra chi nega il global warming e gli altri, «ma tra gli indifferenti, cioè coloro che credono che i cambiamenti climatici imputabili all’uomo siano veri ma innocui, e chi invece pensa che il futuro sia allarmante».