Piccolo caso dell’anno, candidato a quattro premi Oscar (miglior film, regia, sceneggiaura non originale e protagonista femminile), due premi prestigiosi portati a casa nel 2012 (La Caméra d’Or come miglior regia a Cannes e Il Gran Premio della Giuria come miglior film drammatico al Sundance), Re della terra selvaggia è davvero un’opera sorprendente e fuori dagli schemi. La vicenda, tratta dall’opera teatrale Juicy and Delicious di Lucy Alibar (che collabora con il regista alla sceneggiatura), è assolutamente minimale. In una comunità minuscola e posta nel profondo sud della Louisiana, tra paludi e foreste incontaminate, luoghi pericolosi per la salute anche per possibili inondazioni e per questo vietate da anni alla popolazioni, vive la piccola Hushpuppy (Quvenzhané Wallis, classe 2003). La vita è dura e particolarmente fastidiosa per questa povera gente che vive di espedienti, su palafitte e case di cartone. C’è tanta povertà e parecchia miseria, fisica, economica e anche morale. La piccola, d’un tratto, se la deve vedere con la scomparsa del padre, alcolizzato, burbero e scontroso. Si metterà in viaggio verso la civiltà moderna per trovare la mamma che non vede da anni.
SUGGESTIVO. Visivamente straordinario, il film trae tutta la sua forza più che dalla vicenda semplice e dai contorni fiabeschi, da un’ambientazione incredibile, sospesa tra passato remoto e presente, tra modernità e preistoria. E lo stile di Zeitlin che passa dal documentario spiccio (gli attori sono tutti non professionisti), al fantastico puro (anche troppo, con inserti metaforici di non immediata interpretazione), al fiabesco. Un’opera suggestiva e ricca di tanti rimandi e altrettanti riferimenti: non si capisce per esempio dove e soprattutto quando la vicenda è ambientata ma, specie dopo l’inondazione di acqua salata che semina morte e distruzione, il ricordo va senz’altro al terribile flagello dell’uragano Katrina che proprio in quelle zone lasciò le cicatrici più profonde.
HUSHPUPPY. Opera magmatica, ipnotica, segnata dalla morte, dalle tante ferite che la Natura si porta sulle spalle, Re della terra selvaggia, in uscita il 7 febbraio, è però anche un film di sguardi, persone e volti. In particolar modo la tenacia di questa bimbetta, dapprima alle prese con un padre difficile e poi in cerca della mamma, colpisce, commuove e infonde tanta speranza in un mondo che pare sull’orlo degli abissi. E la scena madre, dopo tanta sofferenza, tanti fallimenti e tanta ribellione con al centro lo sguardo amorevole di lei contraccambiato dal padre, è forse la sintesi perfetta del cuore del film: l’amore incondizionato ma anche travagliato, a volte rabbioso e altre volte immalinconito, che una bambina prova per il suo papà, nonostante tutti gli errori, le durezze e le ambiguità di questi. Un po’ come quella natura sfregiata dai rifiuti e abbandonata dall’uomo che però vive e cresce seppur con fatica, aggrappata all’immondizia, galleggiando su paludi mefitiche e aspettando con paura l’ultima ondata, quella definitiva. Così la bimba ama, ama e ama senza avere alle spalle nulla: né una scuola, né una famiglia e neppure degli amici. Però ama, come se fosse fatta solo per quello.
Vale il prezzo del biglietto? Certamente
Chi lo amerà? Chi cerca emozioni delicate
A chi non piacerà? A chi se lo lascerà scappare