Lettere al direttore

Ramadan a scuola e decisioni “ragionevoli”

Di Emanuele Boffi
31 Marzo 2024
Altre lettere di reazione al caso della scuola di Pioltello. La classe politica europea e la necessità per il Vecchio Continente di riscoprire il "fattore" comune
Uscita degli alunni della scuola primaria dell'Istituto Comprensivo Iqbal Masih di Pioltello. 18 marzo 2024 (Ansa)
Uscita degli alunni della scuola primaria dell'Istituto Comprensivo Iqbal Masih di Pioltello. 18 marzo 2024 (Ansa)

Sulla vicenda del ramadan a Pioltello avete scritto che le feste vanno decise a Roma. Io ho l’impressione che da entrambe le parti politiche si cerchi lo scontro a ogni costo. Almeno noi cerchiamo di continuare a usare la ragione. La mia forse sbaglierà, ma mi dice che si trattava di una decisione ragionevole in quel contesto che infatti l’aveva approvata all’unanimità, mentre potrebbe essere irragionevole in altri contesti.

Donatella Laghi

I politici usano slogan per attirare consensi e concordo con lei che bisognare usare la ragione. Infatti penso che la questione si possa gestire sfruttando quei giorni di chiusura che ogni istituto ha a sua disposizione nell’organizzare l’anno scolastico. Insomma, se è vero che la maggioranza degli studenti di quella scuola è musulmana e se è vero che c’è un gran numero di loro che vuole seguire il Ramadan, allora mi pare intelligente venire incontro il più possibile alle esigenze dei ragazzi. Resta il fatto, come abbiamo scritto, che non spetta alla scuola di Pioltello decidere se il Ramadan è una festività da inserire nel calendario scolastico.

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Caro direttore, vedo che continuano le polemiche nate dalla scelta della scuola di Pioltello di chiudere i battenti per la fine del Ramadan. Vorrei fare una osservazione che non si riferisce direttamente a questo “caso”, ma che riguarda il tema generale dei rapporti tra Stati circa il tema dei diritti civili, con particolare riferimento alla libertà religiosa. Un tema, quindi, strettamente civile e statuale. Si tratta di questo.

Essendomi, molti anni fa, iscritto alla facoltà di giurisprudenza, ebbi modo di studiare anche le “disposizioni sulla legge in generale” dette anche “disposizioni preliminari” (al codice civile). Essendo passato molto tempo, per sicurezza, ho verificato in questi giorni che quasi la totalità di tali disposizioni non è stata abrogata ed in particolare non è stato abrogato l’articolo 16, intitolato “trattamento dello straniero”, il quale così recita: “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali”. Tale articolo, quindi, è ancora vigente: è ancora vigente il principio della “reciprocità”.

Poiché probabilmente il solo far riferimento a tale principio rischia di rendermi un po’ impopolare, chiarisco subito, in modo tale da non perdere il preventivo diritto alla parola, che sono favorevole a che lo Stato italiano conceda comunque a tutti, stranieri compresi, il godimento di tutti i diritti civili, compreso quello che riguarda la libertà religiosa. Senza se e senza ma, tutta la parte prima della Costituzione deve essere applicata anche nei confronti degli stranieri che, per vati motivi, si vengano a trovare ed a vivere sul territorio del nostro Paese.

Detto questo, penso che comunque l’articolo 16 appena citato debba porre a chi ci governa un problema, mentre vedo che nessuno se ne fa carico. Mi spiego, riferendomi in particolare, al diritto derivante dalla libertà religiosa.

Noi italiani non impediamo, in fatto ed in diritto, che i cittadini stranieri possano esprimere liberamente la propria fede religiosa. Ma mi chiedo: l’Italia si preoccupa che i cittadini italiani che vivono all’estero possano liberamente esprimere, anche pubblicamente, la propria fede cristiana? In molti casi, mi pare proprio di no. E non solo con riferimento ai Paesi dove i cristiani vengono apertamente perseguitati (e sono tanti), ma anche a quei Paesi in cui non appare esserci una persecuzione esplicita, ma un implicito ostacolo a che la fede diversa da quella lì maggioritaria possa essere liberamente praticata. Per uscire fuor di metafora, mi pare che in molti Paesi retti da regimi islamici (e non solo) il cittadino italiano che desideri praticare la propria fede cristiana non possa farlo; e, comunque, non abbia la stessa libertà che gli stranieri di fedi non cristiane pretendono di avere nel nostro Paese. Mi pare un dato di fatto, di cui mi pare anche che nessun governo, almeno finora, se ne sia mai fatto carico.

Penso anche che abbiamo una grande occasione per mettere in atto almeno il tentativo di tutelare la libertà degli italiani all’estero. Penso al “Piano Mattei”, che giustamente vuole instaurare un rapporto di parità tra Stati europei e Stati africani: tale parità dovrebbe essere applicata anche alla tutela dei diritti di libertà, con particolare riferimento alla libertà religiosa, che è la più importante di tutte. In altre parole, i cittadini italiani che, per vari motivi, vanno a lavorare e ad abitare, per esempio, in una Stato a regime islamico dovrebbero potere usufruire delle stesse libertà che lo Stato italiano concede ai cittadini di quello Stato. In altre parole ancora, l’Italia dovrebbe concedere agli stranieri tale libertà indipendentemente dal comportamento degli Stati di origine degli stranieri, ma, nel contempo, dovrebbe battersi seriamente perché, proprio in base al principio di “reciprocità”, la stessa libertà venga concessa agli italiani. I governi italiani dovrebbero finalmente farsi carico di questa preoccupazione, senza limitarsi alla lamentela quando la libertà non viene rispettata. Oltre ai temi di ordine politico, di ordine economico, di ordine geopolitico, anche la preoccupazione per la tutela dei diritti dei nostri cittadini all’estero dovrebbe essere inserita nei dossier posti a base dei nostri rapporti internazionali.

Noi dobbiamo dare il buon esempio; ma dobbiamo anche pretendere che l’esempio venga seguito dagli Stati esteri con i quali intratteniamo rapporti. L’articolo 16 sopra citato lo impone.

Tutto questo riguarda esclusivamente i compiti dello Stato. Ai cristiani come tali, invece, occorrerebbe ricordare che oltre all’accoglienza di ogni persona, Gesù ci ha chiesto anche di annunciare a tutti la verità del Vangelo: mi pare che lo stiano dimenticando.

Peppino Zola

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Tra le tante situazioni che si stanno verificando in questi giorni in merito al Ramadan, quella che più mi ha colpito si riferisce al fatto che il numero di alunni che praticano il digiuno nella scuola primaria sia aumentato. In mensa possono solo guardare il loro piatto di pasta e i compagni che pranzano perché pare che per regola, oltre che a non poter consumare, debbano avere il loro piatto davanti. Se poi pensiamo che la maggior parte di loro torna a casa a praticare il digiuno e poi ritorna a scuola, la cosa è ancora più scioccante. Proprio nei due momenti in cui si sa che c’è una maggiore socializzazione, la mensa e il dopo mensa, questi bambini non sono veramente presenti. Noi insegnanti negli ultimi anni abbiamo cercato di togliere barriere e paletti che potevano disturbare la sensibilità dei nostri alunni stranieri. Di contro non abbiamo avuto grandi riscontri da parte delle famiglie, nessuna apertura. Ci troviamo di fronte a genitori che rifiutano ancora di rivolgersi ai propri figli anche in lingua italiana, che rifiutano gli inviti per i figli alle feste con i compagni di classe, che rifiutano di fare consumare certi cibi ai propri figli. Ed ora si tira in ballo il digiuno che va a ledere i diritti incalpestabili dei bambini: il diritto alla salute fisica e a quella mentale. Se consideriamo che a scuola abbiamo fatto e facciamo ancora campagne alimentari per educare i bambini a nutrirsi in modo vario e completo, non si può accettare in assoluto il digiuno dei bambini in una scuola primaria.

Mirella Rigamonti

Gentile Mirella, a quanto ne so, nell’islam il rispetto del digiuno è chiesto a ragazzi che abbiano già superato la pubertà. I casi che lei segnala sono pochi e limitati.

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Ho ascoltato su Radio Maria le sue considerazioni (L’Europa si riarma. Servono leader pronti a decisioni storiche) Condivido il suo ragionamento. Temo che la leadership politica italiana non sia affatto all’altezza del compito. E quelli come Salvini che inneggiano al populismo di chiusura più che risorsa, saranno parte del problema. Al di la delle dichiarazioni formali, non abbiamo leader con la statura morale e la visione strategica necessarie. Soprattutto la statura morale! Che ne pensa? Grazie, con stima,

Giovanni Filisetti

Penso che il problema non sia solo Salvini che comunque interpreta sentimenti diffusi nel Vecchio Continente. Penso, come ha detto Mario Mauro nell’ultimo numero di Tempi, che il livello piuttosto scarso della classe politica sia un problema che non riguarda solo l’Italia. Ma una classe politica è lo specchio della società e qui il tema è la crisi d’identità dell’Occidente “stanco di sé”, come diceva Benedetto XVI. Un popolo è tale se riconosce il fattore che lo tiene legato: l’Europa non sa più dare un nome a questo “fattore”.

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Buongiorno, ringrazio Raffaele Cattaneo per l’interessante affondo culturale sulla differenza “ontologica” tra popolari e conservatori, che vuole essere di aiuto a comprendere le differenze tra le due distinte famiglie europee e non a caso giunge in vista delle elezioni. Premesso che anche io mi riconosco più nei primi, da semplice cittadino non particolarmente appassionato di politica (mi scuso in anticipo per eventuali imprecisioni) vorrei tuttavia sollevare alcune obiezioni per le quali non escluderei affatto di sostenere i secondi. Alla prova dei fatti, la coerenza dell’azione politica del gruppo popolare europeo con gli ideali “autenticamente popolari” presentati da Cattaneo mi sembra a dir poco scialba: l’attuale presidente della commissione europea appartiene al gruppo dei popolari (Ppe), ma le scelte di questi anni non mi pare siano state ispirate a sussidiarietà o a una “visione in cui gli uomini possano godere delle stesse condizioni di vita”. Ad esempio, le balzane idee sulla transizione ecologica che scaricano costi folli sui cittadini (chi si trova a cambiare auto, magari suo malgrado, se ne accorge in fretta), l’erogazione dei fondi europei condizionata a cambiamenti della società su temi di competenza nazionale, l’assente politica di controllo dei confini dell’unione, i due pesi e due misure da utilizzare nella valutazione delle azioni di alcuni piuttosto che altri stati europei, nessun freno sostanziale alla finanza slegata dall’economia reale, nessuna limitazione in seno agli organismi europei dell’ideologia gender o della deriva eutanasica che attraversa il continente. Insomma, non esattamente la dottrina sociale della chiesa. Come dice Cattaneo, sarebbe auspicabile un’offerta politica credibile autenticamente popolare. Peccato che però non ci sia: abbiamo già riscontrato l’irrilevanza di micro-partiti che potremmo definire “identitari”: molto vicini a quello che penso, ma in fondo buoni a dare il seggio al singolo deputato di facciata, il quale non mantenendo un rapporto con la sua esigua base elettorale è destinato a perderla definitivamente. L’offerta politica non c’è perché il popolo che dovrebbe esprimerla non ha coscienza di essere popolo cristiano. Si deve quindi attendere che questa coscienza si risvegli, tra i cattolici in generale (chissà quando) e tra quelli di centro-destra in particolare che, prima di subire il fraintendimento secondo cui l’azione politica non ha a che fare con l’appartenenza, in passato hanno mostrato una presenza politica credibile. Nel frattempo la soluzione del “Papa straniero” rimane la più ragionevole, sia per il cittadino sia per chi è disposto a giocarsi in politica in prima persona. Meglio arrivare alla stessa verità da differenti estrazioni culturali piuttosto che dire di condividere i valori di base e fare poi scelte opposte invocando la libertà di pensiero. Cordiali saluti,

Andrea Coppadoro

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