Se gli Stati messicani di Tabasco e Sinaloa in cui l’utero in affitto è legale, di fronte alle evidenti derive, hanno provato a stringere le maglie della norma che lo regola, il mercato, alimentato da una prassi ormai entrata nei costumi, sembra destinato a sopravvivere. In teoria gli stranieri e le persone dello stesso sesso non potrebbero più pagare le donne per comprare i loro figli, ma il fatto che la pratica sia comunque permessa all’interno dei confini statali lascia ampi margini affinché la legge sia raggirata.
UN VERO TRAFFICO. A dimostrarlo è la storia delle sorelle Hernandez, residenti nei sobborghi della capitale di Tabasco, Villahermosa, che della maternità surrogata ne hanno fatto un vero e proprio lavoro a tempo pieno. Loro sono, in ordine decrescente d’età, Miraglos, madre di tre figli, Martha, Maria, madre di tre figli, e Paulina, madre di due. «Il nostro vicino di casa ci accusa di dirigere un giro di traffico di bambini» spiega al Daily Mail Martha, incinta di quattro mesi e il cui figlio è stato comprato da un uomo francese. «Siamo tutte madri single, disoccupate, che si devono curare del loro futuro personale», si giustifica la donna mentre la sorella, Miraglos, fa dell’ironia: «Il divertimento sessuale è l’unica cosa che manca all’esperienza della maternità surrogata».
UNA DELLE OPZIONI. Gli stranieri scelgono da anni il Messico come meta, sfruttando i bassi costi dovuti all’indigenza diffusa. Infatti, se mediamente un’agenzia incassa 45 mila euro per bambino, ogni singola donna ne guadagna circa 10 mila, in un mercato che ne fattura ogni anno 90 milioni. Una cifra bassissima per il business della “surrogacy”, ma molto alta per una povera messicana.
Una madre single nel povero contesto di Villahermosa ha solo due opzioni, spiega Miraglos: «Fare la cameriera o la prostituta». Oppure c’è una terza via ed è la «maternità surrogata, un modo facile per assicurare un futuro ai miei figli». Sua nonna, l’81enne Lourdes, conferma: «Affitterei il mio utero se potessi (…), una donna può guadagnare una fortuna per fare qualcosa che viene naturale». I suoi nipoti maschi, infatti, possono realisticamente pensare di raggiungere cifre simili solo dopo dieci anni di lavoro.
INCUBI NOTTURNI. La sorella maggiore cambia tono quando ricorda la sua prima esperienza di tre anni fa, in cui le furono promessi 16 mila euro e poi le venne chiesto di abortire, dopo che i suoi “clienti”, presi dalla paura, ci avevano ripensato. E, ricordando l’esperienza con il primo neonato venduto, di cui non ha più saputo nulla, sottolinea: «Mi sveglio ancora nel cuore della notte chiedendomi dove sia e che cosa stia facendo, sperando che il mio cliente attuale mantenga i contatti».
Paolina, invece, alla sua prima esperienza e incinta di sette settimane, racconta di temere già il momento in cui dovrà separarsi dal bambino: «Partorirò in una clinica di Villahermosa alla presenza dei due “padri”. Allatterò i bambini per 10 mesi, dopodiché li consegnerò ai clienti. Questa è sempre la parte più difficile».
Martha, mostrando le foto di una bimba, aggiunge: «Mi sono sentita come se Sara fosse la mia primogenita, ma sai dall’inizio che ti sarà tolta e quindi provi a separare i sentimenti dalla realtà, anche se alla fine non c’è nulla che possa risolvere la situazione». Ricordano i momenti con la piccola, il dolore per la separazione e la gelosia verso i due uomini che la portavano via, ammette: «Per circa un mese sono stata molto triste. Mi svegliavo durante la notte aspettandomi di sentir piangere Sara, ma non c’era nessuno».
Nei quartieri poveri ci sono molte altre donne che guadagnano soldi così, sebbene la legge sia cambiata. La terza delle sorelle Hernandez, Maria, è già stata contattata direttamente da una coppia tedesca: «Li ho conosciuti tramite il passaparola. Erano in Messico in cerca di una “madre surrogata” e hanno trovato me».
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