«Siamo sicuri che nel difficile contesto palermitano la serenità dei giudici non deve essere minacciata dalla prospettiva che una eventuale, non gradita assoluzione scateni inammissibili aggressioni mediatiche. E che il pm Vittorio Teresi e i colleghi del suo gruppo ammetteranno che occorre fare di tutto perché i giudici non vengano neppure sfiorati dal sospetto che le stesse aggressioni siano occasionate, ispirate o addirittura suggerite da atteggiamenti o da contatti non consoni dei colleghi pubblici ministeri». È quanto hanno scritto in una lettera aperta degli ultimi giorni – un gesto insolito – il presidente della IV sezione penale del tribunale di Palermo, e i giudici a latere, che il 17 luglio 2013 hanno assolto in primo grado l’ex numero uno del Ros e del Sisde Mario Mori dall’accusa di favoreggiamento alla mafia.
TERESI: «AI GIUDICI DARE UN 4 MENO». I giudici Mario Fontana, Wilma Mazzara e Annalisa Tesoriere – che nelle 1300 pagine di motivazioni alla sentenza avevano smontato le tesi della procura di Palermo, rappresentata in quel processo dall’allora pm Antonio Ingroia e dal pm Nino Di Matteo – per la prima volta hanno scelto di contrapporsi pubblicamente alle parole del procuratore aggiunto di Palermo Teresi, che aveva duramente criticato l’assoluzione di Mori con un’intervista all’agenzia Adnkronos.
Teresi oggi conduce l’accusa insieme al collega Di Matteo nel nuovo processo a Mori per la presunta trattativa Stato-mafia. Il 19 ottobre scorso, dopo la pubblicazione delle motivazioni della prima assoluzione a Mori, aveva dichiarato: «Se fossi un insegnante metterei alla sentenza dei giudici del processo Mori un quattro meno perché chi l’ha scritta è andato fuori tema. Insomma, ha scritto la sentenza di un altro processo». Per quella frase, malgrado Teresi si fosse subito dopo scusato, il Csm lo scorso 3 febbraio ha avviato un procedimento disciplinare.
«LE SCUSE NON BASTANO». «Consideriamo la pubblica esternazione di Vittorio Teresi il frutto estemporaneo di un particolare momento emotivo» scrivono ora i tre giudici in una lettera indirizzata a tutti i colleghi magistrati di Palermo, «che in quel momento egli non è riuscito a contenere e che lo ha irresistibilmente spinto a mettere in cattiva luce la sentenza Mori. Ora, placata la nostra irritazione, che riconosciamo essere stata molto intensa, ci sforziamo di comprendere quell’attimo di sbandamento, figlio di un momentaneo, non controllato, malanimo, che ci permettiamo di reputare sbagliato. È più che legittimo non condividere una decisione ed il pubblico ministero ha i mezzi per fare valere le sue censure». E ancora: «Nessuno, ovviamente, è infallibile ed è lungi da noi sentirci i depositari della verità, specie in una vicenda tanto complicata. Si vedrà se i giudici della (eventuale) impugnazione condivideranno o meno la decisione alla quale il Tribunale è faticosamente pervenuto. Non è la forma che ci interessa, ma la sostanza».
«ACCUSE INFONDATE». I giudici quindi proseguono: «Quello che ci ha fortemente irritato non è il voto negativo che Vittorio ha assegnato alla sentenza Mori, ma la oggettiva infondatezza delle critiche. In realtà, riteniamo, in piena coscienza di aver semplicemente cercato di prendere in considerazione tutto il materiale probatorio offerto dalla accusa e dalla difesa e di esserci sforzati di esaminare a fondo i fatti che potessero lumeggiare il solo movente (non una generica “ipotesi di movente”) prospettato dal pubblico ministero. Dopo tanto impegno profuso nell’istruire il processo, nel maturare una difficile decisione e nel redigere la sentenza, non poteva che suscitare un moto d’ira sentirsi dire che, in sostanza, avremmo, per larga parte dei cinque anni di dibattimento, lavorato invano. Confessiamo che sarebbe stato per noi più soddisfacente se Vittorio, come gli avevamo chiesto, avesse rimediato alla sua esternazione con specifiche, pubbliche precisazioni per spiegare, punto per punto, la infondatezza delle sue estemporanee critiche».
AGGRESSIONE MEDIATICA SOSPETTA. La lettera del collegio segue un’aspra polemica mediatica che è divampata dopo le parole del pm Teresi e che, di fatto, ancora oggi non è del tutto sopita. Perciò i tre giudici palermitani per la prima volta si spingono ad ammonire: «Confessiamo che sarebbe stato per noi più soddisfacente se Vittorio, come gli avevamo chiesto, avesse pubblicamente riconosciuto l’inopportunità di intrattenere relazioni con persone che dileggino o insultino i suoi colleghi giudici, rei di aver pronunciato sentenze non gradite. Lo avevamo chiesto perchè spinti non da un inutile puntiglio, ma dalla seria preoccupazione per la libertà e la serenità della giurisdizione. Siamo sicuri che anche Vittorio ed i colleghi del suo gruppo riconosceranno che nel difficile contesto palermitano la serenità dei giudici non deve essere minacciata dalla prospettiva che una eventuale, non gradita assoluzione scateni inammissibili aggressioni mediatiche. Ed ammetteranno che occorre fare di tutto perché i giudici non vengano neppure sfiorati dal sospetto che le stesse aggressioni siano occasionate, ispirate o addirittura suggerite da atteggiamenti o da contatti non consoni dei colleghi pubblici ministeri».