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Processo Del Turco, due testimoni fanno scricchiolare il castello dell’accusa

In questi giorni a Pescara sono stati acquisiti documenti che aprono seri dubbi sulle accuse contro l'ex presidente della Regione Abruzzo

Chiara Rizzo
17/05/2013 - 6:00
Interni
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Le udienze di lunedì e mercoledì del processo che vede imputato l’ex governatore della Regione Abruzzo Ottaviano Del Turco stanno mettendo in discussione la tesi dell’accusa: Del Turco è sotto processo per tangenti, in base alla testimonianza dell’imprenditore della sanità privata Vincenzo Angelini. In aula, però, sono state acquisite alcune perizie e testimonianze, che mettono fortemente in dubbio la versione di Angelini, che nel frattempo in questi anni è finito a sua volta sotto processo a Chieti per bancarotta fraudolenta. Sulla stampa nazionale non si parla di queste nuove prove, che tempi.it riporta in esclusiva.

ACQUISTI IN GIOIELLERIA. In aula a Pescara, il 13 maggio, sono state acquisite le numerose relazioni consegnate dall’avvocato Giuseppina Ivone, curatrice fallimentare di Villa Pini, e dal coadiutore fallimentare Luigi Labonia. Si tratta di due esperti nominati per seguire il crack causato alle sue società da Angelini e che dunque depongono in aula al processo Del Turco nelle loro vesti di consulenti super partes dei tribunali fallimentari di Pescara e Chieti. La loro ricostruzione dimostra documenti alla mano come Angelini abbia in passato “pasticciato” e manipolato i bilanci societari, al fine di distogliere somme dal suo gruppo per spese personali, e di come le sue successive difese siano state considerate false dai due tribunali fallimentari. Questo è un colpo anche all’attendibilità di Angelini come accusatore di Del Turco, perché l’imprenditore ha sempre sostenuto che la causa dei suoi problemi finanziari fossero invece le presunte tangenti versate.

NODO CREDITI. Ivone ha esordito spiegando che dalle analisi delle attività del gruppo di imprese di Angelini sono invece state ricostruite «distrazioni di somme da parte di Angelini che hanno inciso sui debiti delle società», tanto che lei si è trovata a gestire una situazione particolarmente complessa perché nei bilanci delle società, impegnate in particolare nel settore sanitario, all’epoca della gestione Angelini venivano riportate voci di credito (con le Asl, o con le banche nella formula della cessioni di credito) ma «sulla quantificazione reale di questi crediti c’è ancora una profonda incertezza, perché molti oggi hanno generato nuovi contenziosi. Di sicuro l’entità dei crediti non è quella riportata sul bilancio, ma sarebbe notevolmente inferiore. In alcuni casi per esempio le Asl replicano ai tribunali che nulla sarebbe dovuto da loro ad Angelini, in altri casi che ci sono state inappropriatezze nei servizi svolti dalle cliniche».

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FALLIMENTO DA RECORD. Ivone ha anche sottolineato che a differenza di quanto accade in molti processi fallimentari, la situazione del gruppo Angelini è stata ritenuta tanto grave che «lo stesso Angelini è stato dichiarato fallito come persona fisica (tanto che gli sono stati sequestrati beni personali quali opere d’arte, ndr) e la sola Villa Pini, la principale clinica del gruppo, ha un passivo accertato di 113 milioni di euro. Anche vendendo Villa Pini e recuperando i crediti residui, questo è un fallimento che si chiuderà senza aver pagato i creditori o le retribuzioni e i contributi ai dipendenti della società».

PRELIEVI BANCARI. Ivone ha concluso confermando davanti al tribunale che «nella perizia svolta anche per questo processo, con allegati precise copie degli estratti conti, si vedrà che alcune somme sono state trasferite dalle cliniche, in particolare da Villa Pini, negli anni dal 2005 al 2009, alle mani di Angelini. Abbiamo inoltre ricostruito i prelievi bancari, e il più eclatante è di 200 mila euro in un solo giorno. Ci sono importi di un certo livello che non venivano usati dall’imprenditore per la gestione dell’attività sanitaria ma per acquisti in gioielleria, in tabacchi, in abbigliamento. Acquisti documentati da fatture regolari che consegniamo adesso a questo tribunale. Ci sono poi assegni firmati da Angelini in quanto amministratore della società e girati a lui stesso (sempre per scopi personali, ndr)».

SCATOLE CINESI E YACHT. Il coadiutore fallimentare Labonia è stato l’autore materiale di decine di perizie per i tribunali di Chieti e Pescara. In aula al processo Del Turco ha ricostruito, consegnando come prova anche i documenti bancari e le ricevute, il meccanismo con cui Angelini distraeva denaro alle sue società: «Si tratta di una decina di relazioni, tra cui la più interessante è quella sulla società del gruppo Angelini denominata Verde Srl. La società aveva formalmente acquistato dai coniugi Angelini la partecipazione di altre società e di conseguenza così drenava risorse soprattutto dalle cliniche: le somme venivano trasferite sulla finanziaria del gruppo, la Novafin, poi di nuovo a Verde che le restituiva come cauzione ai coniugi per l’acquisto delle partecipazioni. Così i soldi uscivano dalle società. In questo modo complessivamente sono usciti dalle cliniche 161 milioni di euro circa. Verde srl per l’esattezza comprava e vendeva yacht personali per gli Angelini. Inoltre, abbiamo verificato che Novafin spesso poi rifinanziava le società e permetteva, per giunta, di chiudere i bilanci in attivo: questo è avvenuto per almeno 3 milioni di euro».

Tags: angeliniOttaviano Del Turcopescaraprocesso del turcosanitopoli Abruzzo
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