Sebbene la sentenza sia «storica», come scrive il bravo Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera, non compare sul alcuna prima pagina dei quotidiani italiani. Era già accaduto a marzo, quando l’archiviazione del “caso Murphy” era passata in sordina e trovato spazio solo in trafiletti nelle pagine interne. Strano. Eppure quando c’era da generalizzare sul “Vaticano pedofilo”, sulla “Chiesa che protegge gli orchi”, sulla mala educación cattolica (che tanta fortuna ha avuto anche al cinema), ci pareva che i media non lesinassero in discussioni, dibattiti e approfondimenti.
Capita invece che la Corte federale di Portland, nell’Oregon, dichiari con una sentenza che i vertici della Santa Sede, in primis il Papa, non hanno alcuna responsabilità civile nelle cause intentante contro i preti pedofili. La questione è poco teologica e molto venale. In sostanza il giudice Michael Mosman ha stabilito che le vittime non possono chiedere risarcimenti milionari al Vaticano per i reati commessi dai preti pedofili. L’avvocato della Santa Sede, Jeffrey Lena ha dichiarato: «Per la prima volta, di là dalle teorie, un giudice ha valutato i fatti e tutta la documentazione che ci avevano richiesto».
Come nota giustamente Vecchi sul Corriere, «la sentenza si aggiunge a un’altra archiviazione, a febbraio di quest’anno, quella della causa che lo stesso avvocato Anderson intentò nel 2010 sul “caso Murphy”, un pedofilo colpevole di centinaia di abusi dagli anni Cinquanta al ’74: anche qui si volevano coinvolgere il Papa e i vertici della Santa Sede. La causa è finita in niente ma intanto aveva fatto il giro del mondo. Con un doppio paradosso: le accuse colpivano Joseph Ratzinger, il pontefice che più di ogni altro nella storia ha combattuto la pedofilia nel clero, e finivano col fare il gioco proprio di chi, nella Chiesa, avrebbe preferito parlare di «complotti» ed è rimasto spiazzato dalla linea di trasparenza e rigore imposta da Benedetto XVI.