«Nella tua scuola quante volte senti parole per indicare gli omosessuali come “finocchio, frocio, lesbicona, etc”, dette in tono offensivo? Da chi le hai sentite pronunciare?». Sono due delle domande di un questionario sull’omosessualità che sarà distribuito nei prossimi giorni in tutti i licei di Piacenza. L’operazione, sponsorizzata dalla giunta di centrosinistra, segue le direttive dell’associazione Ready, una rete nazionale di amministrazioni che si battono per il superamento delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Gli studenti dovranno compilarlo in forma anonima per poi consegnarlo agli insegnanti. In seguito le scuole invieranno le risposte al Comune. La decisione dell’amministrazione comunale piacentina (qui la lettera inviata a tutti i licei della città) ha provocato le proteste dell’opposizione, in particolare dei cattolici. A sollevare il caso in aula è stato lunedì Giovanni Botti (foto), consigliere comunale di Ncd. A tempi.it, Botti si dice «preoccupa
Le domande del questionario (visibili qui) sembrano più un invito alla delazione che materia di studio sul fenomeno del bullismo a stampo omofobico.
È quello che sembra. Il questionar
Il questionario chiede agli studenti (anonimi) di indicare chi insulta gli omosessuali (insegnanti, bidelli, studenti). Non è qualcosa di più di un semplice step per parlare di omosessualità?
Il problema non è soltanto il contenuto delle domande. Il problema è che a queste domande provocatorie dovrebbero provocare un secondo passo immediato: il dialogo sulla base delle risposte date. Cioè, dovrebbero essere lo step iniziale per discutere di omossessualità nelle classi, non per fare uno studio sull’omofobia. Il Comune di Piacenza ne ha fatto un uso diverso: ha preso il questionario e lo ha divulgato nelle scuole senza seguire alcun metodo. Una strumentalizzazione politica che non ha nulla a che vedere con l’educazione. Questa metodologia è sbagliata.
I promotori dell’iniziativa avranno pensato che fosse utile comunque sottoporlo agli studenti?
In questo modo non si fa politica. La buona politica è guardare l’essere umano nella sua interezza, non spezzettarlo a seconda delle proprie convenienze, facendo a pezzi l’educazione. Non rientra nelle competenze del Comune stabilire cosa bisogna imparare a scuola e come discutere di un tema che merita approfondimento culturale, scientifico e sociologico. Facendo così non fa che strumentalizzare una questione alla moda. Se si vuole seriamente avere un approccio educativo con i ragazzi, bisognerebbe parlarne prima con i dirigenti e con i genitori. La politica del Comune sembra quella di considerare la scuola un contenitore vuoto da riempire con temi alla moda. Non ha alcun interesse alla crescita dei ragazzi.