Il perdono per l'assassinio di Rolando Rivi. «Solo il bene è fecondo»
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«Rolando quando è morto aveva 14 anni, era un granello di senape, per dirla con l’espressione Vangelo. In realtà sta crescendo un albero perché persone da tutta Italia vengono qui e da tutto il mondo. Che cosa vedono in Rolando? Io penso una passione. E la passione, quando è autentica, genera sempre nuova vita». Ha usato queste parole, il vescovo di Reggio Emilia, don Massimo Camisasca, in un’intervista precedente la celebrazione che si è svolta ieri alla Pieve di San Valentino, per spiegare chi fosse il beato Rolando Rivi, il giovane ucciso dai partigiani il 13 aprile 1945 in odium fidei.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]«IL MALE È INFECONDO». Quella di ieri è stata una giornata straordinaria perché Meris Corghi, figlia del partigiano Giuseppe che uccise il giovane seminarista, ha chiesto perdono ai fratelli e al cugino del beato, Alfonso, e ad altri familiari. Un gesto dal «valore enorme – sempre per usare le parole di Camisasca – per l’itinerario compiuto dentro di lei. Nello stesso tempo un valore enorme perché lei è arrivata a riconoscere che il male non ha ragioni nell’uomo. E soprattutto è infecondo ed è mortale e che quindi al male bisogna contrapporre il bene, il perdono. Oggi, si noti, non è soltanto un perdono chiesto, ma è un perdono donato. Questo incontro è sicuramente importante e sarà sicuramente fecondo. Io spero l’inizio di una serie di altri perdoni».
SEME DI PACIFICAZIONE. I lettori di Tempi conoscono la vicenda di Rolando (qui la sua storia) e, secondo il vescovo, è una vicenda che ancora oggi ha molto da insegnarci: «Soprattutto perché – ha detto ancora Camisasca – aiuta a rendersi conto quale significato abbia per il popolo cristiano e per tutta la comunità della provincia di Reggio e di Modena. Perché questi eventi così grandi si possono comprendere soltanto nel tempo e i significati sono due: il primo è quello di una vita offerta a Cristo. Lui diceva “io sono di Gesù”, in fondo è l’unica parola che abbiamo di Rolando. In secondo luogo è un seme di pacificazione di cui c’è molto bisogno e anche ciò che avviene qui oggi spero sia un seme di pacificazione».
LE PAROLE DI MERIS CORGHI. In una chiesa colma di fedeli, Meris Corghi ha chiesto perdono, leggendo una lettera toccante:
«Giuseppe Corghi era mio padre. Io sono Meris, Meris Corghi e sono onorata di essere qui. Durante un percorso che mi ha trasformato profondamente nell’animo, ho sentito che c’era qualcosa che dovevo fare, ma non sapevo cosa. Non sapevo praticamente nulla di questa vicenda, perché io non ero nata all’epoca e dopo ero troppo piccola per capire i discorsi. Ma, piano piano hanno cominciato ad affiorare dei tasselli, ho cominciato a pormi delle domande e ho iniziato un cammino che mi ha portato fino a qui oggi. Non ho quasi idea di come sia successo, so soltanto che è stato come essere guidata. Sì, sono stata guidata, forse dalla presenza di mio padre nel cercare una risoluzione per poter ritrovare la pace. Forse dalla luce divina che ognuno di noi porta nel cuore, forse dallo stesso beato Rolando che desidera più di ogni altro in questo momento storico e decisivo per il mondo l’unione e la pace.
Io sono solo la figlia e la risposta che ho trovato nel cuore è stata: siamo tutti figli, figli dello stesso padre e fratelli, ognuno con i suoi personali fardelli. Vi chiedo con immensa umiltà di permettermi di pronunciare queste parole che mi sono state dettate dal cuore. Sono una figlia anche io, come tutti.
Ho sempre pensato a mio padre come ogni figlia dovrebbe pensare a un padre: una forza, un pilastro, un punto di riferimento. Da lui ho saputo sempre molto dell’amore e molto poco della guerra. Lui era mio padre, il mio esempio. Mi faceva ballare, mi faceva girare sulle punte come una ballerina. Era tutto. È impegnativo per me essere qui ora, quello che ha stravolto la vita di mio padre e ha travolto la vita di Rolando è l’odio che cresce tra gli uomini e si trasforma nella guerra.
Una notte di Natale la guerra si fermò e tutti furono solo uomini mentre dalle trincee salivano i canti di Natale. Una tregua per gli uomini e uno smacco al grande separatore. Una pietra miliare di pace come quella che stiamo creando oggi. Guardarsi nei cuori le scelte che ogni giorno facciamo possono portare la vita e la pace o l’odio e la guerra. Siamo tutti responsabili della pace di domani a partire da ora, di ogni singolo istante. “Prenderai per mano tuo fratello, lo sosterrai, lo aiuterai a volare o lo invidierai, lo giudicherai e lo abbatterai nella polvere?” Nessuno tocchi Caino, quel Caino che Cristo stesso sulla croce ha salvato.
Siamo tutti fratelli e nella guerra tutti perdiamo. Avete perso Rolando e si è perduto mio padre, ma Cristo ha salvato tutti gli uomini. Prima di spirare sulla croce usò il suo ultimo fiato solo per perdonare i suoi carnefici. “Padre perdona loro perché non sanno”.
Io credo che nessuno di quei soldati che hanno combattuto e quelli che combattono oggi sappiano realmente cosa stanno facendo e perché. Le ragioni economiche e di potere, la voglia che il grande separatore ha di distruggere. E come ride sul mondo ogni volta che gli permettiamo di faro. Lui, il burattinaio e i potenti burattini nelle sue mani. In cambio di vanagloria questo potere uccide la vita degli altri, la calpesta e la travia, usiamo gli ideali degli uomini e li mette l’uno contro l’altro e non si comprende più che l’ideale supremo è la vita, la vita è l’ideale supremo. Adopera questa fiamma del cuore per i propri loschi fini, alimenta l’odio, soffiando con la sua bocca vorace. Il risultato, se non ci fermiamo adesso, sarà un’esplosione un’immensa esplosione.
Quello che sono venuta a dire qui oggi è che l’unico movimento che può invertire questo processo è l’unione. Se gli uomini si uniscono nel cuore diventano forti, diventano una grande anima, diventano davvero la manifestazione del creatore. E come la luce si è propagata da un solo punto nel cuore di Dio in tutto l’universo, ognuno dei nostri sacri cuori può diffondere questa luce sulla terra.
La fiamma può essere accesa da un’emozione profonda, un’emozione che si trova solo quando ci si arrende alla Grazia. Arrendiamoci a Dio nel perdono e mettiamo una fiamma di luce, diventiamo esempi della Grazia. Gesù è la strada e noi siamo la sua pace.
Sono qui oggi per restituire le responsabilità, io qui, oggi, figlia non sono venuta tanto a chiedere perdono per mio padre, ma a chiedere perdono per l’odio che scatena la guerra. Vinciamolo con la pace, perdoniamoci oggi, facciamolo qui, diamo un segnale forte della nostra volontà di risurrezione. E ora, è ora per la vita di riconciliarsi con la vita. Vi prego partiamo da qui per fare un mondo nuovo. Le responsabilità ultime dell’odio non sono degli uomini, ma dei creatori di queste guerre di tutte le guerre che ci usano e ci rendono tutti perdenti. Ma noi abbiamo l’arma più potente di tutte, noi abbiamo un cuore, possediamo il potere dell’amore e siamo tanti. Il loro odio non sopravvivrà al nostro amore.
Ognuno di noi nelle atrocità dei conflitti ha perso qualcuno: un fratello, un padre, un cugino, una madre, una figlia, un nonno, un bisnonno: nessuno è stato risparmiato, ma noi qui oggi possiamo diventare una valanga di amore, che questa stretta di mano diventi simbolo della vittoria dell’amore Dio, un’esplosione di luce che parte da qui e si propaga in tutto l’universo.
L’unica vera esplosione e mi permetto di parlare a nome di tutti, sia quella della gioia sui sentieri dei nostri figli. Facciamo che diventino creatori di pace come lo è diventato il beato Rolando in questa vicenda e come cerco di esserlo io in questo momento nella memoria di mio padre. Che nessun ordine dato dai signori della guerra possa più abbattere i nostri figli. E non ci saranno più figli perduti né padri con la colpa di essere rimasti vivi. Siamo purtroppo tutti figli della guerra. Combattere significa cercare di restare vivi. Questa stretta di mano tra le nostre due famiglie sia il simbolo della giusta espiazione per l’odio fraterno per ogni padre, per ogni nonno, per ogni bisnonno che ognuno ha nella nostra famiglia tornato vivo dalla guerra.
Che questa stretta di mano possa essere la mano tesa di Gesù sulla genealogia di tutte le nostre famiglie annullando i conflitti, che ognuno di noi oggi possa andare a casa libero, risorto.
Ognuno ha un compito nella vita, una missione, la mia era fare ritrovare la pace a mio padre e tentare di riconciliare i nostri cuori. Con l’aiuto di Dio oggi si compirà dentro una stretta di mano.
Trasformati nella morte e riuniti dall’amore e dal perdono del Padre, che il sorriso di Rolando possa risplendere su tutti voi e accanto a lui anche quello di mio padre. Ciò che l’odio del separatore ha diviso possa riunirsi nell’amore del sacro Cuore di Gesù e nell’amore del Padre.
Vi imploro a nome di tutte le vittime di tutte le guerre: pace, pace, pace. Ringrazio profondamente i famigliari del Beato Rolando, che hanno accolto questa richiesta di riconciliazione aprendo il loro cuore in questo giorno speciale. E ringrazio tutti, ma proprio tutti voi che siete qui. Grazie a tutti.
Una stretta di mano a volte non basta, altre volte è un’esplosione di amore che può trasformare il mondo, questa è una di quelle volte. Prego Rosanna Rivi, sorella di Rolando e Maria moglie di Guido, suo fratello, di avvicinarsi e a voi di unirvi a noi in questa stretta di mano».
LE PAROLE DI ALFONSO. Commossa la risposta di Alfonso, che ha accolto la richiesta di perdono con queste parole:
«Rolando era per i fratelli Rosanna e Guido e per noi cugini l’amico prediletto per ogni gioco. Da giovane seminarista fu il maestro che ci ha introdotto a ciò che veramente conta: la fede in Dio. La sua morte ha segnato le nostre vite con un dolore profondo, illuminato però da quella stessa fede, da quello stesso affidarci al Signore che Rolando ci aveva testimoniato e insegnato. Nel martirio di Rolando abbiamo visto fiorire nel tempo un bene sempre prezioso come nel giorno della beatificazione quando siamo stati inondati dalla commozione e dalla letizia. Nei nostri cuori rimaneva però una segreta speranza che cioè anche la violenza usata contro Rolando fosse in qualche modo redenta perché la vittoria del bene sul male potesse giungere alla sua pienezza. Per questo oggi abbiamo colto con gioia la presenza di Meris Corghi fra di noi, come fosse una sorella. Alla sua domanda di perdono rispondiamo di cuore col dono del perdono. Un dono che non è roba nostra ma viene da Dio per primo in Cristo, come insegnava Rolando: ci ha amati, perdonati e redenti. Ricordo che Rolando diceva: se vuoi bene a Gesù, vuoi bene a tutti. Grazie Rolando, grazie Meris per il gesto che hai fatto».
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