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Per capire la tragedia dei cristiani in Siria bisogna leggere la storia di Saadi e della sua famiglia, perseguitati dal regime e dai ribelli

Il padre rapito da uomini protetti dal regime di Assad, la zia suora rapita a Maloula dai jihadisti, mentre i terroristi sono alle porte della sua città. Saadi (nome di fantasia) a tempi.it: «È una guerra contro i cristiani e nessuno ci protegge»

Leone Grotti
04/08/2014 - 3:30
Esteri
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#490740823 / gettyimages.com

Per capire davvero che cosa significa vivere in mezzo alla guerra e essere un cristiano in Siria oggi bisogna ascoltare la testimonianza di Saadi (nome di fantasia per ragioni di sicurezza), che ha accettato di raccontare la sua storia a tempi.it. La sua famiglia vive in un villaggio cristiano vicino ad Hama, minacciato dall’avanzata dei jihadisti che si sono fermati ad appena 15 chilometri di distanza. Il padre è stato rapito da uomini alawiti protetti dal regime di Assad, sua zia è una delle 13 suore di Maloula sequestrate e poi rilasciate da membri di Al Qaeda, un altro suo parente è stato prelevato dai jihadisti e nessuno ha più avuto notizie di lui.

siria-yabroud-chiesa-islam5LE PAROLE DI GESÙ. Saadi spiega come nessuno in Siria protegga oggi i cristiani, perseguitati da una fazione e dall’altra nell’indifferenza di tutto il mondo, tanto che per descrivere la situazione non trova parole migliore di quelle di Gesù, riportate nel Vangelo di Giovanni: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato». Ecco, dice Saadi, «oggi tutti ci uccidono credendo di rendere culto a Dio».

IL RAPIMENTO DEL PADRE. Saadi, ortodosso nato in un villaggio di 20 mila cristiani vicino ad Hama, vive da due anni negli Stati Uniti dove si è recato per lavoro. Come suo padre è medico e da mesi è costretto a vivere la tragedia della sua famiglia da lontano, senza poter ritornare in patria. «Mio padre è stato rapito il 24 febbraio verso le cinque di pomeriggio: mentre era fuori per lavoro, ad appena tre chilometri da casa, tre macchine l’hanno affiancato e 10 uomini armati l’hanno prelevato. Mio fratello maggiore, che si trovava in Germania, ha trattato con quegli uomini. Ci hanno chiesto all’inizio 100 milioni di lire siriane, circa due milioni di dollari. Non avevamo quella cifra e ci siamo accordati per una cifra pari a due milioni di lire siriane, circa 40 mila dollari. Tra il 24 febbraio e l’11 marzo, mio fratello ha parlato con i rapitori e mio padre al telefono: lui diceva di stare bene mentre i sequestratori ci dicevano che se non avessimo pagato l’avrebbero ucciso tagliandogli la testa. Ci siamo accordati per consegnargli i soldi in un luogo preciso, poi avremmo dovuto trovare nostro padre in un altro. Ci hanno detto di non arrivare armati o ci avrebbero uccisi tutti. Dopo aver cambiato tre volte il luogo della consegna alla fine hanno preso i soldi ma non ci hanno restituito nostro padre, dicendoci che l’avevano consegnato a un altro uomo. Una persona con cui non siamo mai riusciti a parlare».

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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RAPITORI PROTETTI DAL REGIME. Dall’11 marzo Saadi e la sua famiglia non sanno più niente di loro padre, «che era l’uomo più importante della città. Un uomo generoso, che non ha mai parlato male di nessuno e non si è mai interessato di politica. Chiunque avesse bisogno di qualcosa, si rivolgeva a lui: non so perché l’abbiano rapito e perché non ce l’abbiano restituito dopo aver ottenuto i soldi». A sequestrare il padre di Saadi non sono stati i terroristi, «che pure ogni giorno rapiscono qualcuno nella nostra zona», ma uomini appartenenti alla religione alawita, quella del presidente Assad. Saadi conosce i nomi dei rapitori, uno dei quali è stato arrestato, ma nessuno può fare niente «perché sono protetti da persone molto importanti. Non dico che l’abbia rapito il regime stesso, ma qualcuno che sta abusando del suo potere».

«VI PREGO, VENITE VIA». Saadi ha «contattato ogni singolo politico in Siria. Abbiamo mobilitato gli Stati Uniti e anche le Nazioni Unite, ci hanno promesso di aiutarci ma nessuno riesce a fare niente». Prima del rapimento, le cose in città a causa della guerra erano difficili già da tempo: «Prima che succedesse tutto avevo chiamato la mia famiglia e avevo chiesto loro di venire via, che era troppo pericoloso restare. Ricordo che mio padre mi rispose: “Non preoccuparti per me, perché io non ho mai fatto niente di male a nessuno e ho sempre fatto del bene a tutti, anche ai musulmani”». Saadi è disposto «a vendere tutto pur di riaverlo indietro ma nessuno ci ha più contattato».

«SE TORNO, MI UCCIDONO». Ora Saadi vorrebbe tornare in Siria dalla sua famiglia ma non può: «Se torno indietro il regime mi costringerà a fare il servizio militare e mi tratterranno anche di più del dovuto perché sono un medico. Se non mi prendono loro, farò la fine del mio supervisore medico in Siria: è stato rapito dai jihadisti per curare i loro feriti. Per tre mesi ha dovuto lavorare per loro e poi l’hanno ammazzato. Nonostante questo il mese scorso mi sono deciso lo stesso a tornare ma l’uomo che ha rapito mio padre ha giurato di uccidermi. Mia madre mi ha telefonato quattro volte e ha insistito perché non partissi. Ecco perché sono ancora qua».

JIHADISTI A DUE PASSI. Come se non bastasse, tutta la sua famiglia è in pericolo perché i terroristi islamici si avvicinano sempre di più: «Hanno circondato un villaggio a pochi chilometri dal nostro e hanno cominciato a bombardarlo. Ho chiesto ai miei di andarsene ma non vogliono farlo: mio padre potrebbe essere ancora vivo e non vogliono andare via prima di aver avuto sue notizie. Non vogliono lasciarlo solo ma se fosse lì insieme a loro partirebbero subito, senza aspettare un secondo. Nessuno li protegge».

LA ZIA, SUORA DI MALOULA. Saadi si interrompe solo per prendere fiato o per piangere. Tra le tragedie che ha già dovuto vivere la sua famiglia c’è il rapimento della zia, una delle 13 suore di Maloula sequestrate dal monastero di Santa Tecla il 2 dicembre 2013 e liberate solo il 9 marzo 2014. Il rapimento è ancora avvolto nel mistero dopo tanto tempo perché le suore non hanno mai parlato della loro prigionia. E Saadi ci spiega perché. «Pochi giorni dopo il loro rapimento i terroristi hanno diffuso un video nel quale dicevano che le suore stavano bene e che erano state prelevate con lo scopo di proteggerle. Questo è ridicolo: nessuno farebbe mai una cosa del genere. E soprattutto loro non avrebbero mai lasciato il monastero se non per motivi serissimi: hanno una regola molto severa. Per questo mia zia non ha mai partecipato a neanche un matrimonio della mia famiglia. Ogni tanto veniva ai funerali ma raramente poteva lasciare le consorelle».

LIBERATA MOGLIE DI AL BAGHDADI. Quando nel video ha visto che sua zia non indossava la croce ha capito che erano state minacciate seriamente: «Non ho mai visto in tutta la mia vita mia zia senza la pesante croce al collo». Dopo mesi di negoziato tra il regime e i terroristi, le suore sono state liberate il 9 marzo in cambio del rilascio di 169 prigionieri dalle carceri siriane. «C’è una cosa che i media non hanno mai detto: tra le persone liberate c’erano la moglie e il figlio di Al Baghdadi, il califfo dello Stato islamico».

«SE PARLATE, UCCIDIAMO I VESCOVI». Dopo la liberazione le suore hanno tenuto una grande conferenza stampa e a sorpresa ringraziando i terroristi e il Qatar, nemico giurato della Siria. Gli abitanti di Damasco si infuriano, il regime si infuria per quelle parole ma loro ribadiscono di essere state trattate benissimo. Saadi spiega: «Quando mia madre e mia sorella sono andate a trovarla a Damasco, lei era molto spaventata. Continuava a dire loro le solite cose, che stava bene, che erano state trattate bene. Poi ha spiegato le ragioni del suo silenzio: “I jihadisti ci hanno minacciato che se avessimo mai detto qualcosa di male contro di loro, sarebbero tornati a rapirci e ce ne saremmo pentite per tutto il resto della nostra vita. Ci hanno anche detto che se avessimo parlato avrebbero ucciso i due vescovi”», Youhanna Ibrahim e Boulos al-Yazij, sequestrati vicino ad Aleppo il 22 aprile 2013. Lo stesso Saadi dopo molto tempo è riuscito a parlare con la zia, che gli ha detto: «Sto bene e sono stata bene. Sei una persona intelligente: non farmi più domande».

crocifissioni-isil-aleppo3«NOI CROCIFISSI PER PRIMI». La famiglia di Saadi è solo una tra le tante ma fa capire bene la situazione dei cristiani, «rapiti da una parte e dall’altra senza che nessuno li difenda». Alla tragedia della guerra, si aggiunge l’indifferenza del mondo: «Ora i giornali hanno cominciato a parlare dei cristiani iracheni, e a volte di quelli siriani, perché i terroristi dello Stato islamico li hanno crocifissi e cacciati dalle loro case, marchiate con la “N” di nazareni. Ma i primi ad essere stati crocifissi sono i cristiani siriani, i primi ad essere stati uccisi sono i cristiani siriani, i primi ad essere stati cacciati dalle loro case sono i cristiani siriani, i primi ad essere stati rapiti sono i cristiani siriani. E allora perché nessuno ne ha parlato fino ad ora? Forse perché non si voleva dare un vantaggio ad Assad».

«È UNA GUERRA CONTRO I CRISTIANI». Nel villaggio dove vive la famiglia di Saadi tutti preferiscono «il regime, perché da più garanzie rispetto ai ribelli ma la verità è che nessuno si cura di noi, nessuno ci protegge. E quando arriveranno i jihadisti e ci chiederanno se siamo cristiani, saremo costretti a dirgli che siamo musulmani, mentendo. Allora loro, per verificare, ci faranno domande sul Corano. E quando scopriranno che nessuno sa, ad esempio, come si chiama la madre di Maometto capiranno che siamo cristiani. E ci uccideranno. Perché questa è una guerra contro i cristiani, non contro tutto il popolo, non contro i musulmani».

MESSAGGIO AI LEADER DELLE CHIESE. Ecco perché Saadi non riesce a mandare giù le parole dei leader della Chiese di tutto il mondo che chiedono ai cristiani di rimanere in Siria: «La cosa più importante della nostra vita è Gesù e noi crediamo in Lui. Ma abbiamo bisogno di protezione. Anche Pietro ha tradito Gesù tre volte, altrimenti sarebbe stato ucciso, e poi ha costruito la Chiesa». Ora «io voglio mandare un messaggio a tutti i leader cristiani sparsi per il mondo: se voi pensate che per il bene della cristianità noi dobbiamo restare qui in Siria allora fate una cosa. Prendetevi una settimana di vacanza, una sola, e venite qui a vivere con noi. Provate cosa vuol dire. Partite oggi, restate in Siria anche solo cinque ore, ma andate da qualunque parte e chiedete ai cristiani che cosa vogliono, qual è il loro desiderio. Vi risponderanno tutti una cosa sola: un visto per lasciare il paese. Eppure nessuno ci concede i visti, nessuno ci dà la possibilità di scegliere se restare o scappare».

@LeoneGrotti

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