Morte di un chierichetto del Papa e statistiche di altri “eventi critici”
Martedì 11 luglio. I giornali si occupano di Gianfranco Cottarelli. Chi è? E’ un detenuto di Regina Coeli condannato a 19 anni per omicidio, che uscì di galera nel 1998 e che venne riarrestato l’8 gennaio 1999 con una pistola e 116 grammi di cocaina. E’ il detenuto di Regina Coeli che si drogava “perché era impaurito, per farsi coraggio”. E’ il detenuto che domenica 9 luglio ha fatto da chierichetto al Papa pellegrino tra le sbarre di regina Coeli. E’ il detenuto che è morto per una crisi cardiaca alle quattro di mattina di martedì 11 luglio 2000. E anche se qualcuno ha scritto: “non per farsi coraggio, ma per un dei droga party in carcere”, – e sai che party – il Papa ha voluto far sapere pubblicamente che ha pregato per lui. Sicuramente la morte do Cottarelli finirà nelle annuali statistiche dell’amministrazione penitenziaria sotto la voce “eventi critici” (morti, suicidi, overdose, atti di autolesionismo o di aggressione). L’anno scorso, (1999) la voce “suicidi” è giunta a contare 59 casi. Nel 1988 erano stati 51 su 933 tentativi, gli atti di autolesionismo 6.342, gli atti di aggressione 1.224, i decessi 78. Gli atti di autolesionismo hanno subito un certo incremento: furono 4.365 nel 1992, nel 1993 e nel 1997 superarono i 5.000, nel 1998, sono appunto saliti a 6.342. In carcere sono aumentati anche i tentativi di suicidio. Furono 531 nel 1992 e poi in continua crescita fino ai 773 del 1997 e ai 933 del 1998.
Sofri comunque sta in galera. E comunque non è un estraneo Intervistato da Telemontecarlo sul Giubileo dei detenuti, Adriano Sofri ha detto: “Quello che sta succedendo oggi in carcere in questo momento alla vigilia di questa visita del Papa al carcere romano per il Giubiuleo dei detenuti, per la maggior parte dei detenuti normali, non per me o persone come me, che peraltro sono rare, è esattamente questo: ci sono delle persone sulle quali è franata una miniera, un edificio, che da tanto tempo non sentivano più voci di soccorritori né rumori di qualcuno che scavasse. Improvvisamente in modo ormai insperato queste persone che si erano abbandonate e a cui mancava l’aria sentono fuori abbaiare qualche cane lupo, dei picconi che saggiano le macerie, e dunque si rianimano, si dicono: ‘qualcuno si sta occupando di noi, raccolgono le loro energie per gridare noi siamo qui, siamo ancora vivi’. Ecco, questo sta succedendo rispetto a questa improvvisa promessa di amnistia o di indulto sospesa da undici anni in Italia”.
Pronto, Luigi Manconi?
Raggiunto al telefono da chi redige queste righe, il senatore Luigi Manconi ha detto: “Temo ormai che non se ne farà nulla. Ho visto all’opera i veti incrociati tra i due schieramenti e da una situazione simile non esce nulla. Se così sarà nelle carceri succederanno cose gravi” Rivolte? “No, non credo, spero di no. Ma ho paura che aumenteranno considerevolmente i casi di autolesionismo”.
Torna quello strano feeling tra Palermo e Milano.
Andreotti e Formigoni ri-avvisati Sabato 15 luglio. Le procure si ridanno da fare: quella di Palermo presenta appello contro l’assoluzione di Giulio Andreotti dall’accusa di mafia. Quella di Milano indaga sul presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni per favoreggiamento nei confronti della Simec, la società titolare dell’ex cava di Cerro, dove negli anni dal 1991 al 1995 vennero smaltiti i rifiuti della città di Milano. Andreotti reagisce in modo apparentemente rassegnato: “Spero di avere salute e mezzi per fronteggiare questo noioso appello, penso che perseverare è diabolico”. Formigoni replica frontalmente: “L’attacco contro di me è tutto e solo politico. E’ il colpo di coda vergognoso di un sistema politico giudiziario agonizzante, un tentativo estremo del giustizialismo comunista-centralista”. Entrambi sembrano azzeccarci, direbbe Di Pietro. L’accusa al presidente della Regione Lombardia sembra effettivamente poggiare su presupposti fragili. Il ricorso dei procuratori palermitani appare infine come un atto dovuto. Ben ha spiegato Marcello Pera, senatore di Forza Italia, che non esiste in materia alcun atto dovuto, ma i distinguo con il quale il procuratore capo di Palermo, Piero Grasso, ha presentato l’iniziativa: un gesto autonomo dei suoi sostituti sotto il quale manca la sua firma, fa effettivamente pensare a un colpo di coda inevitabile ma debole. Singolare, poi, l’argomentazione dei pm palermitani: con le stesse accuse, gli stessi imputati, le stesse motivazione fu condannato il poliziotto Bruno Contrada. Dimenticano di notare che lo stesso impianto accusatorio ha mandato assolto il giudice Corrado Carnevale.
Somiglianza durata 7 anni Lunedì 17 luglio. Ecco il testo di un laconico comunicato d’agenzia: ha trascorso 7 anni in carcere per la somiglianza con un boss, Daniele Barillà, 38 anni, titolare di un negozio nel milanese. Alla fine il processo di revisione in Appello a Genova ne ha sancito l’estraneità al traffico internazionale di stupefacenti per il quale era stato condannato a 15 anni, in Cassazione. Barillà sarebbe stato scambiato per un boss che i carabinieri stavano pedinando. A salvarlo, l’ammissione in aula di un maresciallo che ne ha confermato la somiglianza con alcune foto segnaletiche: ma le foto ritraevano il boss Crisafulli, non Barillà.