Palestina, rinvio sine-die

Di Gian Micalessin
01 Novembre 2001
Gerusalemme. Guerra con i palestinesi, totale rottura con Bush. Una Israele così lontana da Washington è solo del 1991 quando il governo del Likud rifiutava, nonostante gli sforzi di Bush padre, la conferenza di Madrid.

Gerusalemme. Guerra con i palestinesi, totale rottura con Bush. Una Israele così lontana da Washington è solo del 1991 quando il governo del Likud rifiutava, nonostante gli sforzi di Bush padre, la conferenza di Madrid. Per ritrovare Israele impegnata in operazioni belliche così sanguinose e massicce bisogna risalire alla Guerra dei sei giorni. Mai, da allora, si era visto un simile dispiego di carri armati, elicotteri ed unità blindate. Raramente si erano contati oltre cinquanta morti arabi in dieci giorni. Il precipitare delle relazioni con Washington e l’inasprimento dello scontro sono strettamente correlate. Fino all’11 settembre Sharon e l’amministrazione Bush sembravano sulla stessa linea: eliminazione politica di Arafat e dilazionamento nel tempo di ogni trattativa per la nascita di uno Stato palestinese. Almeno fino a quando non si fosse trovato un successore di Arafat degno di fiducia e sufficientemente affidabile. Gli Stati Uniti ponevano soltanto due limiti alle rappresaglie dell’esercito israeliano: evitare la rioccupazione di territori palestinesi per più di 24 ore e l’eliminazione fisica di Arafat o di altri leader dell’Autorità Palestinese. La sicurezza di avere dietro a se gli Stati Uniti consentiva a Sharon di utilizzare l’asse con il ministro degli esteri laburista Shimon Peres per contrastare le impennate della destra del Likud, vicina al nemico Bibi Nethanyau, e dei generali-falchi del capo di stato maggiore Shaul Mofaz. Tutto cambia l’11 settembre. Dopo il martedì nero la soluzione della questione palestinese diventa la chiave per garantire un sostegno prolungato delle nazioni arabe alla coalizione antiterrorismo. Bush e Powell ricordano improvvisamente di aver messo a punto delle idee per la soluzione del problema medio-orientale. Idee di cui prima dell’11 settembre non vi era traccia. Tra di esse anche un virgulto di piano per la spartizione di Gerusalemme. Sharon si sente tradito e Arafat, fino ad allora considerato un appestato, viene ricevuto a Downing Street. Quando il leader palestinese stringe la mano a Blair, il via ad un nuovo negoziato per la creazione di uno stato palestinese con capitale Gerusalemme sembra cosa fatta. Arafat ha garantito, per la prima volta, un accordo con la Jihad islamica e Hamas per la sospensione degli attentati ed ha piegato le fazioni più intransigenti di Fatah. Nei territori il livello degli scontri è caduto al livello più basso dall’inizio della nuova Intifada. Gli unici a voler ancora combattere sono i generali israeliani che, immediatamente dopo l’incontro Arafat-Blair, ridanno il via alla politica di eliminazione preventiva. Ma dopo cinquanta palestinesi morti e sei città occupate Arafat si ritrova nuovamente privo di ogni capacità di controllo della propria opinione pubblica e dei gruppi fondamentalisti. Tra israeliani e palestinesi, come afferma Peres, l’odio raggiunge livelli senza precedenti. Sharon, invece, grazie al rifiuto di ogni ritiro imposto da Washington riconquista il sostegno dell’opinione pubblica. La condizione migliore per dichiarare terminate le operazioni e garantirsi contemporaneamente il rinvio sine-die di una soluzione della questione palestinese voluta da Washington.

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