Pakistan, cristiani in fuga da Peshawar dopo l’attentato alla chiesa: «Non possiamo crescere i nostri figli qui»
«CI HANNO PRESO TUTTO». Tra i tanti cristiani che cercano di scappare dalla città, secondo un reportage del Tribune pakistano, c’è Daniel, che ha vissuto lì 32 anni: «Tutti vogliono andarsene ormai. Anch’io ho fatto richiesta di asilo. Sono nato qui ma sono pronto ad andare dovunque: Malaysia, Australia, Regno Unito. Qualunque posto va bene».
Anche Shaan (nome di fantasia) ha fatto richiesta di asilo nel Regno Unito due mesi dopo l’attentato, ma ancora non ha ottenuto risposta: «Mi hanno promesso che mi invieranno presto il visto ma non l’hanno ancora fatto. Da tempo i non musulmani non vengono trattati bene in Pakistan, ma dopo gli attentati abbiamo pensato che era giunto il momento di andarsene». Perché? «Ci hanno preso tutto: hanno occupato le nostre scuole, i nostri collegi. Ora vogliono il resto».
C’è anche chi fa la scelta opposta. Insar Gauhar, coordinatore dei giovani della diocesi di Peshawar, ha perso i due figli nell’attentato. Anche la moglie è stata ferita. «Avevo pensato ad andarmene ma ora non lo faccio più. I miei figli sono sepolti qui», dice.
«MUSULMANI CI HANNO AIUTATO». Il vescovo Peters, pur ammettendo il fenomeno, non vuole lasciare che si diffondano allarmismi inutili: «È vero che ci sono cristiani che vogliono andarsene ma questo succede in tutto il Pakistan, non solo qui». Riconosce poi che la persecuzione a Peshawar sta aumentando, anche se molti musulmani hanno aiutato i cristiani. «La maggior parte delle persone che vive intorno alla chiesa è sciita e quindi capisce bene la nostra situazione perché anche loro sono perseguitati in Pakistan. Ci hanno mandato cibo per tre giorni dopo l’attacco. Loro aiutano a proteggere la nostra chiesa, più della polizia», afferma un membro della chiesa, Javed Iqbal.
Che poi lancia un appello perché i cristiani non cedano alla violenza: «Siamo cristiani, siamo pakistani, non possiamo lasciare il nostro paese, la nostra città, la nostra chiesa. Sono nato qui, mio padre è nato qui, mio nonno è nato qui (prima della creazione del Pakistan, ndr). Non dobbiamo andarcene».
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