E se alla fine bastasse un Post-it? Se l’è chiesto Andrea Morigi, giornalista di Libero. Da una sua inchiesta risulta che ai registri sulle coppie di fatto, aperti da molte e solerti amministrazioni comunali italiane, «si sono iscritte 143 coppie. Pari allo 0,0098 per cento della popolazione residente. Un insuccesso totale che, in qualche caso, invece di far comprare un quadernone, avrebbe consentito di economizzare: bastava un post-it». Ecco, impietosi, i numeri degli iscritti: Campi Bisenzio quattro coppie su 42 mila abitanti, Empoli tre su 46 mila, Pistoia tre su 85 mila. Dieci coppie a Perugia, una a Gubbio «mentre a Bastia Umbria e Foligno gli uffici stampa non rispondono nemmeno». Morale: di diritti per le coppie di fatto è più bello parlarne che usufruirne. Come a Trento, dove, dopo una chiassosa battaglia di piazza da parte di repubblicani e associazioni gay, fu aperto nel gennaio 2006 un registro per le unioni civili, per andare incontro alle necessità, si disse, di «oltre duemila cittadini interessati a questa formazione sociale». Tempi appurò che, ad aprile, gli iscritti erano sei.
Esemplare è il caso di Scandicci. Come raccontato dalla Nazione il 3 gennaio, nel settembre 1998 nel paese toscano si svolse una collerica battaglia politica per aprire in Comune un “Registro sulle coppie di fatto”. L’anno boom delle iscrizioni fu il 1999: tre. Nel 2000: due. Nel 2001: tre (record eguagliato). Nel 2002: una. Nel 2003: due. Nel 2004: zero. Nel 2005: zero. Nel 2006: zero. Esilarante il commento del locale capogruppo di Rifondazione comunista, Francesco Mencaraglia: «Chiedo una ricognizione sul numero delle coppie presenti nel Registro per capire se ci siano state eventuali difficoltà per i procedimenti, benefici e opportunità». Sarà senz’altro colpa di un cavillo burocratico se nessuno si affretta ad iscriversi. Dopotutto, una sola nuova segnatura potrà far parlare finalmente di “cambio di tendenza” e di “nuovo trend positivo”.
Basta porsi qualche domanda per capire che di tali registri non vi sia alcuna necessità. Lo ha fatto con ironia Pierluigi Battista su Style, il mensile del Corriere della Sera. In un articolo intitolato “Ma perché non vi sposate?” ha chiesto alle coppie di fatto eterosessuali: «Perché non vi sposate? Se volete vivere come in un matrimonio, perché non celebrate il vostro? Chi ve lo impedisce? Chi vi ostacola? Chi si mette di traverso? Se vi disturba andare in Comune per le pubblicazioni, non è forse altrettanto noioso e fastidioso recarsi all’anagrafe per registrarsi come coppia di fatto? Se invidiate i diritti di chi è sposato, perché non fare come chi si sposa? Se non sposarsi è una forma di libertà, perché rinunciare a essa? Qualcuno vi ha costretto a rimanere coppia di fatto?».
Anche un personaggio molto glamour come la celebre avvocato civilista Annamaria Bernardini De Pace ha spiegato ad Avvenire che «non c’è alcun bisogno di approvare una legge sulle coppie di fatto. Abbiamo già a disposizione una serie di strumenti del diritto privato che possono rispondere con efficacia alle esigenze di tutela dei conviventi». Secondo l’avvocato divorzista «anche da un punto di vista laico il matrimonio è un “atto sacrale”. Non si può svilire il matrimonio prevedendo un altro istituto – un “piccolo matrimonio” o un riconoscimento pubblico delle convivenze – con tanti diritti e nessun dovere, risolvibile con due righe scritte e un “buonasera”». E «se una coppia decide di non sposarsi, non si assume doveri, non cerca di tutelarsi attraverso polizze e contratti privati, la società non può “inseguirla” stendendo sopra di essa una legge, come fosse una coperta, per metterla comunque al riparo. Qui emerge un nodo culturale: le nuove generazioni non sono educate alla responsabilità personale. Troppe persone, troppe coppie hanno perso il coraggio di affrontare un progetto di vita definitivo, almeno nelle intenzioni. Epperò si pretende per loro delle tutele.».
Che tali registri siano solo propedeutici all’introduzione nella nostra legislazione dei Pacs (e, dunque, dell’unione fra omosessuali) non è certo un mistero. Né che a un centrodestra sostanzialmente contrario si contrapponga un centrosinistra, all’ingrosso, favorevole (con le eccezioni dei teodem della Margherita e l’Udeur). Ma anche tra i partiti, a parole, propensi a importare il modello di convivenza francese si registrano obiezioni, il più delle volte, sotterranee. Con alcune eccezioni, come quella testimoniata da una lettera apparsa in novembre sul Riformista in cui Andrea Benedino e Anna Paola Concia, portavoce nazionali di Gayleft – consulta Lgbt Ds, accusavano il primo cittadino di Brescia, il diessino Paolo Corsini, di «aver votato contro in consiglio comunale, in dissenso dal suo gruppo, a un ordine del giorno a sostegno dei Pacs (poi approvato dal consiglio) sostenendo di essere convinto che “il costume e la sua evoluzione non possono innalzarsi a norma”». Anche il candidato sindaco di Rc a Genova, il poeta Edoardo Sanguineti, tra una sparata e l’altra sui ragazzi di Tien an men e l’auspicio del ritorno all’odio di classe, ha trovato il tempo di dichiarare a Vanity Fair: «Sono d’accordo con i conservatori: quelle omosessuali non si possono definire famiglie. E non mi va neppure l’idea di un registro dei conviventi: mi sembra una schedatura».
La poligamia e le sette di Padova
Forse i pericoli sono ancora maggiori, rispetto alle schedature paventate da Sanguineti. Un gruppo di docenti universitari di Diritto comparato ed esperti di Diritto di famiglia hanno inviato un appello al presidente della Repubblica affinché presti maggiore attenzione al “caso Padova”. Nella città veneta, a inizio dicembre, era stata approvata una mozione «a sostegno del riconoscimento di diritti alle persone che vivono in convivenze non matrimoniali». Secondo i professori tali iniziative «portano a soluzioni incongrue rispetto a fenomeni estranei e addirittura antitetici a quelli che richiedono una positiva considerazione sociale». Più esplicitamente, una delle firmatarie, la professoressa Donata Panforti, docente dell’università di Modena e Reggio Emilia, ha spiegato al Gazzettino che «la delibera del consiglio comunale di Padova ha aperto le porte dell’anagrafe anche alle famiglie poligamiche o all’iscrizione delle sette religiose. Non penso che volessero arrivare a questo, ma tant’è».
Persino il professore Massimo Livi Bacci, uno dei massimi demografi italiani, favorevole al Patto civile di solidarietà, ha riconosciuto che «il numero di queste coppie, in Francia, si aggira sui 2,5 milioni, circa il quadruplo dell’Italia, dove un’indagine Istat del 2002-03 ne ha stimate 564 mila. Se si estendesse l’esperienza francese all’Italia, non più di 10-15 mila coppie farebbero ricorso al nuovo istituto».