Lavorando si impara

Ogni giorno centinaia di studenti si recano in azienda per imparare facendo. Qui diamo voce alla loro esperienza

Fare-apprendistatoCon questo editoriale che pubblichiamo, Michele Tiraboschi, direttore del Centro studi internazionali comparati Adapt-Marco Biagi, inaugura la sezione con cui Tempi.it e Adapt intendono collaborare al racconto di storie ed esperienze significative di pratiche di apprendistato in alternanza tra scuola e lavoro in Italia.

 

Che futuro possiamo offrire ai nostri giovani? Quanti anni di calvario li attendono prima di trovare un lavoro? Potranno, infine, realizzare i loro sogni e concretizzare anni di studio?

Una risposta a simili quesiti potrebbe essere l’apprendistato; anche se, non sempre, l’apprendistato sembra essere lo strumento più adatto agli occhi delle famiglie e dei giovani, che ancora lo accostano, talvolta, all’immagine del vecchio garzone di bottega e che disdegnano, dopo lo studio, una sana gavetta come migliore risposta al difficile inserimento nel mondo del lavoro.

Nonostante la diffidenza, però, le buone pratiche non mancano. Ogni giorno centinaia di giovani si recano sul posto di lavoro per imparare un mestiere. Alcuni di questi lo fanno anche durante l’orario scolastico grazie all’alternanza scuola-lavoro.

Per queste ragioni è utile una rubrica come quella che inauguriamo oggi. Il servizio migliore che si possa offrire all’apprendistato, infatti, è quello di raccontare esperienze presenti sul territorio. È quello che fanno già da tempo i giornali stranieri (The Guardian su tutti), che utilizzano le loro colonne per interessanti e utili sperimentazioni di “storytelling” sul tema.

Lo scarso utilizzo dell’apprendistato in Italia, invece, ha una natura più culturale che altro. L’idea che il luogo di lavoro possa essere lo spazio centrale di crescita delle competenze è ancora molto distante dalla sensibilità di un certo mondo imprenditoriale e sindacale italiani.

Anche i nostri ragazzi spesso non sono a conoscenza di questa possibilità. Raccontare le storie di tanti loro coetanei, pertanto, potrebbe mostrargli un mondo ignorato sia per un pregiudizio culturale, del quale sono succubi, sia per mancanza di informazione da parte dei media.

Mostrare che, dove avviene, l’apprendistato funziona, forma lavoratori competenti, aumenta l’occupabilità dei giovani, diminuisce il rischio di disoccupazione è oggi il modo migliore per tentare di sciogliere questo nodo culturale che tanto fa male al nostro Paese.

@Michele_ADAPT

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Ogni giorno centinaia di studenti si recano in azienda per imparare facendo. Qui diamo voce alla loro esperienza

Di Michele Tiraboschi
09 Luglio 2014
L'apprendistato in alternanza tra scuola e lavoro è da poco realtà anche in Italia. Tempi.it e Adapt hanno deciso di raccontarlo insieme per vincere il pregiudizio culturale di chi non crede che possa essere una possibilità per tutti

AdaptCon questo editoriale che pubblichiamo, Michele Tiraboschi, direttore del Centro studi internazionali comparati Adapt-Marco Biagi, inaugura la sezione con cui Tempi.it e Adapt intendono collaborare al racconto di storie ed esperienze significative di pratiche di apprendistato in alternanza tra scuola e lavoro in Italia.

 

Che futuro possiamo offrire ai nostri giovani? Quanti anni di calvario li attendono prima di trovare un lavoro? Potranno, infine, realizzare i loro sogni e concretizzare anni di studio?

Una risposta a simili quesiti potrebbe essere l’apprendistato; anche se, non sempre, l’apprendistato sembra essere lo strumento più adatto agli occhi delle famiglie e dei giovani, che ancora lo accostano, talvolta, all’immagine del vecchio garzone di bottega e che disdegnano, dopo lo studio, una sana gavetta come migliore risposta al difficile inserimento nel mondo del lavoro.

Nonostante la diffidenza, però, le buone pratiche non mancano. Ogni giorno centinaia di giovani si recano sul posto di lavoro per imparare un mestiere. Alcuni di questi lo fanno anche durante l’orario scolastico grazie all’alternanza scuola-lavoro.

Per queste ragioni è utile una rubrica come quella che inauguriamo oggi. Il servizio migliore che si possa offrire all’apprendistato, infatti, è quello di raccontare esperienze presenti sul territorio. È quello che fanno già da tempo i giornali stranieri (The Guardian su tutti), che utilizzano le loro colonne per interessanti e utili sperimentazioni di “storytelling” sul tema.

Lo scarso utilizzo dell’apprendistato in Italia, invece, ha una natura più culturale che altro. L’idea che il luogo di lavoro possa essere lo spazio centrale di crescita delle competenze è ancora molto distante dalla sensibilità di un certo mondo imprenditoriale e sindacale italiani.

Anche i nostri ragazzi spesso non sono a conoscenza di questa possibilità. Raccontare le storie di tanti loro coetanei, pertanto, potrebbe mostrargli un mondo ignorato sia per un pregiudizio culturale, del quale sono succubi, sia per mancanza di informazione da parte dei media.

Mostrare che, dove avviene, l’apprendistato funziona, forma lavoratori competenti, aumenta l’occupabilità dei giovani, diminuisce il rischio di disoccupazione è oggi il modo migliore per tentare di sciogliere questo nodo culturale che tanto fa male al nostro Paese.

@Michele_ADAPT

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8 commenti

  1. Cisco

    In base alla mia esperienza le aziende non vogliono investire in formazione, pretendono gente giovane e che sappia già tutto, è ovviamente gratis. Non c’è una mentalità competitiva, per cui si pensa che investire in formazione sia solo un costo ed esponga poi al rischio che quella risorsa venga contesa sul mercato. Sui sindacati meglio stendere un velo pietoso. Resta il fatto che non si può pensare di incentivare il learning by doing senza pensare anche ad altri elementi che impediscono la competitività, perché ovviamente le aziende assumono e fanno formazione solo se vendono.

  2. luca

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    ah certo, non si parla di gay!!!
    attenzione tempi, è lodevole appoggiare certe iniziative, ma per favore controllate sempre di come siano poi le cose in realtà. moltissime aziende usano l’apprendistato e lo stage come scappatoia per non pagare le persone. i giovani accettano con la vaghissima speranza di un lavoro nel futuro e le aziende sono legittimate a non pagarli… ora se questo è fatto con lo scopo di un assunzione futura bene, ma molte aziende usano sistematicamente queste forme di “assunzione/sfruttamento” anche quando sanno a priori benissimo che non assumeranno.

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