È passato un anno dal più grave attentato contro i cristiani mai realizzato in Pakistan, culminato in una strage. Il 22 settembre 2013 i talebani fecero esplodere a Peshawar due bombe davanti alla chiesa di Tutti i santi al termine della Messa, uccidendo 106 persone, per colpire un simbolo della «cultura imperialista occidentale».
«TERREMO ALTA LA CROCE». Oggi, a un anno di distanza, in quella stessa chiesa i cristiani faranno «una grande commemorazione tenendo alta la croce, mentre si terranno in tutto il paese funzioni e verranno recitate preghiere in suffragio delle vittime. Poi, ci sarà un’assemblea per ricordare quanto successo e per protestare contro il governo affinché si prenda cura e difenda dagli attentati tutte le minoranze religiose del Pakistan e perché paghi ai cristiani quanto aveva promesso».
«ABBIAMO PAURA». A spiegare a tempi.it come i cristiani si apprestano a vivere questo doloroso anniversario è Cecil Chaudhry, nuovo direttore esecutivo della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale pakistana. «Non è la prima volta che subiamo attentati del genere, anche se non così letali, ci siamo abituati ad essere attaccati. Nonostante questo, la gente ha paura».
«PROMESSE NON MANTENUTE». Oltre al danno, i cristiani perseguitati hanno anche dovuto subire la beffa. In periodo elettorale, dopo l’attentato, tutti i partiti politici hanno fatto decine di proposte e promesse per difendere le minoranze. Ma nessuno ne ha ancora mantenuta una. Inoltre, alle famiglie che hanno perso i propri cari il governo provinciale e federale aveva promesso aiuti economici: «Non gli è ancora stata corrisposta nessuna compensazione. Ce l’avevano promessa perché molte persone, avendo perso la famiglia, non hanno più i mezzi per andare avanti. Hanno dato qualcosa, pochissimo, prima delle elezioni a scopo elettorale. Ora invece che le elezioni sono finite non mantengono le promesse. La gente si sente abbandonata».