Le immagini delle proteste studentesche di ieri hanno aperto tanti siti giornalistici: come ogni ottobre, scuola e università si fermano e scendono in piazza. I motivi sono tanti, per certi aspetti anche confusi: si contestano soprattutto i tagli all’istruzione, l’aumento delle tasse universitarie, le scarse garanzie in termini di diritti allo studio. Ma c’è un provvedimento che non compare nei cartelli e negli slogan degli studenti in piazza: è relativo alle imposte sulle borse di studio. Una norma che sembra troverà spazio nella prossima legge di stabilità, e che «metterebbe ulteriormente in crisi un sistema già fragile, quello delle donazioni a sostegno della ricerca. Le sole che vengono incontro ai vuoti dello Stato in materia di diritto allo studio». A parlare è Marco Lezzi, studente del Politecnico di Milano e rappresentante al Cnsu, l’organo consultivo che affianca il Ministero, composto da soli universitari. Lui oggi ha deciso di non scendere in piazza, e a Tempi.it spiega le mosse del governo Monti relative ai nostri atenei.
Marco, la legge di stabilità introduce nuove tasse sulle borse di studio. Aiutaci a capire i dettagli di questo provvedimento.
Come abbiamo denunciato a nome del Clds, oggi il Sole 24 Ore ha anticipato alcune norme contenute nel Disegno di legge di stabilità: è prevista la modifica della deducibilità e detraibilità di determinate spese e donazioni dei contribuenti. Per quanto riguarda la franchigia sulle detrazioni, riguarderà le spese per l’istruzione secondaria e universitarie, le spese mediche, e le donazioni fatte a favore università ed enti di ricerca (ad esempio per le borse di studio). La franchigia sulla deducibilità colpirà invece le donazioni a università, enti di ricerca e persino il “Fondo per il merito degli studenti universitari” introdotto dalla Legge Gelmini. In un momento in cui lo Stato non è in grado di disporre delle risorse sufficienti per garantire totalmente il Diritto allo studio, ecco che vengono disincentivati ulteriormente quei soggetti che cercano di sopperire a questa mancanza.
Ma è quantificabile la rilevanza di questi interventi? Sono spese sostenibili o che metterebbero in difficoltà il mondo universitario?
La franchigia sulla deducibilità è sicuramente quella di minore impatto, perché va a diminuire di 250 euro il reddito su cui calcolo le imposte da pagare. La detraibilità invece va influire direttamente sull’ammontare delle imposte dovute. Ma questo fatto risulta ancora più grave se teniamo conto che le borse di studio sono già tassate dal lato di chi le riceve, cioè lo studente. Su questo è già da tempo che ci stiamo dando da fare al Cnsu: in Italia le borse di studio sono considerate reddito da lavoro dipendente, pertanto tassate Irpef. In più poi se ricevo quei soldi, rischio di superare la soglia per cui non sono più considerato “figlio a carico” dei genitori ai fini fiscali. E le università versano l’IRAP sulle borse finanziate dai privati. Questa norma, se confermata, andrà a colpire gli unici sino ad oggi non penalizzati: coloro che nonostante la crisi donano fondi per borse di studio e ricerca.
Al di là di questo, come giudicate le mosse del governo Monti e di Profumo relative al mondo dell’università?
Sicuramente il Ministro Profumo si è posto in continuità di quanto fatto dal suo predecessore: ha portato avanti l’attuazione della Riforma Gelmini. L’intervento più significativo questo governo lo ha fatto modificando, con la spending review, i criteri secondo i quali le università possono tassare gli studenti. Il criterio che regola la tassazione da parte degli atenei si basa sul rapporto tra i contributi degli studenti e i fondi statali assegnati alle università (FFO). Si tratta di un criterio ingiusto (non si capisce perché io debba pagare le tasse in base a quanto il Ministero dà al mio ateneo, e non invece in base alla qualità della formazione), e economicamente non sostenibile: se il rapporto TASSE/FFO deve rimanere per legge sotto una certa soglia, è evidente che al diminuire dei fondi statali dovrebbero diminuire i contributi degli studenti, generando una situazione insostenibile. Profumo ha quindi allargato le maglie della legge, per dare maggior stabilità finanziaria alle università, senza però andare a modificare il criterio che regola la contribuzione studentesca. Due provocazioni: il livello delle tasse studentesche non dovrebbe essere legato alla qualità della formazione ricevuta? È opportuno che si discuta centralmente delle tasse che ciascuno di noi paga, o forse sarebbe più giusto che ne discutano gli studenti con i propri rettori?