La preghiera del mattino

Non se ne può più della sostituzione della politica con la caccia agli scandali giudiziari

Di Lodovico Festa
19 Luglio 2023
Rassegna ragionata dal web su: Cacciari, Violante e le altre Lady Macbeth del giustizialismo, il “caso camici“ in Lombardia emblema dei guasti prodotti dalla magistratura militante
Massimo Cacciari
Massimo Cacciari (foto Ansa)

Su Huffington Post Italia si scrive: «La Corte d’appello di Milano ha confermato il proscioglimento del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana accusato di frode in pubbliche forniture assieme ad altre quattro persone per il cosiddetto caso camici. Il gup Chiara Valori in udienza preliminare, infatti, il 13 maggio 2022, aveva emesso sentenza di “non luogo a procedere perché il fatto non sussiste” per il governatore, per il cognato Andrea Dini, titolare di Dama Spa, per Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, ex dg e dirigente di Aria, centrale acquisti regionale, e per il vicesegretario generale di Regione Lombardia, Pier Attilio Superti».

Mentre alcuni quotidiani un tempo autorevoli si interrogano soprattutto se Daniela Santanchè abbia messo o no in cassa integrazione una persona che non ne aveva diritto, la notizia dell’assoluzione finale di Attilio Fontana sul cosiddetto pigiama-gate è passata sostanzialmente in silenzio. Eppure meritava una certa attenzione.

Agli inizi del 2020, quando il mondo non capiva bene che cosa stesse succedendo con una strana epidemia cinese, in Italia apparve in televisione il presidente della Regione Lombardia Fontana con una mascherina e fu subito assalito da quel mal riuscito amalgama del ceto politico giallorosso, i Nicola Zingaretti, gli Speranza, i Conte, i Giorgio Gori, i Beppe Sala che criticavano la destra perché un po’ razzista verso Pechino. Dopo qualche giorno ci si rese conto del dramma dell’epidemia che stava sconvolgendo il mondo e divenne urgente colpire l’immagine di chi per primo aveva reagito: il ben noto circuito mediatico-giudiziario si inventò prima una inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio (istituto peraltro cogestito paritariamente da Comune di Milano e Regione Lombardia, anche se la stampa militante rimosse questa realtà), scandalo che venne di fatto svuotato da Gherardo Colombo, una delle varie Lady Macbeth del giustizialismo in circolazione. Allora si puntò sul cosiddetto pigiama-gate svuotato definitivamente solo oggi, nel 2023. Ecco un episodio importante di quella tecnica della magistratura militante che bene ci è stata rivelata dalle autocritiche di Luca Palamara.

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Su Affaritaliani Massimo Cacciari scrive: «Fin tanto che non si farà una riforma della giustizia seria le forze politiche si faranno la guerra sulla base di indagini giudiziarie. Purtroppo abbiamo una classe politica stracciona che quando è al governo è ultra garantista e quando è all’opposizione è ultra giustizialista. Manca completamente la cultura del diritto».

Cacciari è uno dei tanti spiriti liberi che non ne può più di chi sostituisce la politica con la caccia agli scandali e scandaletti.

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Su Startmag Francesco Damato scrive: «Una illuminante intervista di Luciano Violante, già magistrato, già responsabile dei problemi della giustizia per il Pci, già presidente dell’Antimafia e della Camera, in cui a questo come ad altri governi che l’hanno preceduto nel sentirsi “accerchiati” riconosce quanto meno un’attenuante. È quella di dovere affrontare ogni anno, ogni giorno e ogni ora, fra elezioni di vario tipo, sondaggi e polemiche, magari attorno a cronache giudiziarie, il giudizio di chi vota. Il problema, secondo Violante, va cercato “alla radice”. Che è il diritto della politica, anzi la necessità di riprendersi “la sovranità” via via ridottasi e infine perduta spontaneamente “dagli anni Ottanta”, ben prima quindi del terremoto giudiziario che travolse la cosiddetta Prima Repubblica. Tutto cominciò, in particolare, quando la politica delegò alla magistratura, già impegnata di suo con i processi, il compito di combattere in prima linea il terrorismo e la mafia».

Un’altra autorevole Lady Macbeth del giustizialismo italiano, Luciano Violante, ha tirato rigorosamente i conti di una esperienza della magistratura nata per rigenerare lo Stato italiano, e finita con il risultato di disgregarlo consistentemente. Da qui la necessità di una convergenza tra quanti credono in uno Stato italiano libero, forte e giusto al di là degli schieramenti politici.

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Su Open si scrive: «Il ministro della Giustizia Carlo Nordio dice che la politica deve smetterla di inchinarsi ai magistrati. E la giustizia deve essere equa e rapida. In un’intervista a Libero il guardasigilli attacca le toghe dopo i casi La Russa, Delmastro e Santanchè: “Per 25 anni il Parlamento ha rinunciato al suo ruolo. Giusto ascoltare le opinioni delle toghe ma poi decidiamo noi. La maggioranza è unita, il caso La Russa non la indebolirà”. Anche se il ministro si trova sotto gli strali dell’Associazione nazionale magistrati. “La colpa è della politica che ha rinunciato al suo ruolo prominente. E che si è chinata davanti alle critiche dei giudici”. La sua riforma della giustizia, dice, non si fermerà per questo».

Il noioso gioco degli isterici antimeloniani che ogni mattino annuncia la crisi finale del centrodestra, ora punta tutte le sue carte sulla rottura tra Giorgia Meloni e Carlo Nordio. A me sembra che siano di fronte a un tecnico di grande levatura intellettuale che dice quel che pensa ma fa le scelte concordate con la maggioranza, e una premier che ribadisce gli obiettivi concordati con il suo guardasigilli e non si inserisce nella riflessione culturale di contorno. Così a occhio il clima generale mi pare consenta di isolare l’ala più fuori di testa dell’Anm (quella che ha definito eversiva quella separazione netta tra pm e giudici che c’è in tutti grandi Stati dell’Unione) e di procedere alla riforme necessarie del nostro ordinamento giudiziario.

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