

Su Leggo Giammarco Oberto scrive: «Bucha, Gostomel, Irpin: in tutto l’Oblast di Kiev riconquistato dalle forze ucraine ci sono prove di esecuzioni di civili. I corpi recuperati sono già 410, scrive su Facebook la procuratrice generale dell’Ucraina Iryna Venediktova: “È in corso la raccolta di testimonianze, foto e prove video dei massacri”. Intanto ci sono quelle immagini dei cadaveri nella Yabluska di Bucha, che ieri hanno fatto il giro del Mondo e delle cancellerie. La parola più usata è choc. E la condanna è unanime, dagli Usa alla Nato, dalla Ue alla Onu».
Le atrocità scoperte a Bucha indignano e rendono ancora più difficili le trattative tra Kiev e Mosca per un accordo o almeno per un tregua. I responsabili di crimini di guerra vanno perseguiti e puniti. Però non sarà un tribunale penale internazionale che metterà fine a un conflitto armato. La Russia è oggi ancora più debole, ma è realistico pensare di disgregarla prima di trovare una qualche soluzione allo scontro in atto?
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Sulla Nuova bussola quotidiana Luca Volonté scrive: «Le elezioni svoltesi tra i fiocchi di neve e in un clima di grande ordine e rispetto nella giornata di ieri 3 aprile, hanno visto prevalere, ben oltre i sondaggi della vigilia, la coalizione Fidesz-Cristiano democratica guidata da Orban che si avvia ad un altro mandato per i prossimi quattro anni».
La vittoria di schieramenti aperti a un dialogo con Mosca sia in Serbia sia in un’Ungheria, dove peraltro il ricordo dell’invasione sovietica del 1956 è ancora ben vivo, dovrebbero far riflettere su quel che sta succedendo in tante parti dell’opinione pubblica mondiale. Non si tratta di cedere alla politica di potenza russa, condita di atrocità, ma di capire le dialettiche che si sono globalmente messe in movimento e che non si possono ridurre a uno scontro tra autocrazie e democrazie.
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Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Un Putin che si mette a fare il lavoro sporco per mettere in sicurezza il suo Paese e dar la possibilità a un suo erede di trattare una seconda fase meno anti-occidentale. Americani che la tirano in lungo perché sperano che il presidente russo muoia durante la guerra dando vantaggi fondamentali a Washington. Tutto ciò spiegherebbe meglio quel che sta succedendo rispetto a tante argomentazioni che paiono spesso primitive».
Sulla Zuppa di Porro si raccolgono alcune testimonianze sul fatto che di una possibile grave malattia di Vladimir Putin si parlasse ben prima dell’invasione dell’Ucraina. È difficile utilizzare qualche voce per produrre analisi credibili. Certo che ci sono nella guerra in Ucraina alcuni elementi difficili da spiegare (la fretta furiosa di Mosca e la convinzione americana che si possa disgregare la Russia, per esempio), elementi che possono spingere anche a prendere in esame ipotesi azzardate come la possibile malattia terminale del presidente russo.
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Sul Post si scrive: «Il piano iniziale di Putin era condurre una “guerra lampo” che avrebbe dovuto permettere alle forze di russe di conquistare in pochi giorni le principali città ucraine, tra cui Kiev, Kharkiv, Odessa, contando sul fatto che gli ucraini avrebbero appoggiato l’invasione russa e il governo si sarebbe presto sciolto. Verso metà marzo era diventato chiaro che il piano era fallito. La Russia avrebbe però cercato di non abbandonarlo del tutto mandando rinforzi attorno Kiev, nel nordest e nel sud dell’Ucraina, nel tentativo di sfruttare la sua superiorità militare e fermare la resistenza ucraina. Alla fine di marzo, sostiene l’Institute for the Study of War, la Russia ha infine accettato l’impossibilità di conquistare tutta l’Ucraina seguendo il piano militare progettato inizialmente, e ha deciso di estendere ulteriormente il suo controllo sul Donbass».
Nelle preparazione della scellerata aggressione russa all’Ucraina vi sono senza dubbio elementi non comprensibili, però se si considera come siano ormai diversi i generali degradati dal governo ucraino (tra questi l’ex capo del dipartimento principale del servizio di sicurezza interno, Sbu, Naumov Andriy Olehovych, e l’ex capo del servizio di sicurezza nella regione di Kherson, Serhiy Oleksandrovych) e altri che cercano di fuggire, si comprende come vi fosse una sponda nell’esercito ucraino che giocava con Mosca e che poi è stata bloccata da una resistenza popolare con al suo centro “milizie” allenate da americani e inglesi in questi anni, della cui capacità e influenza forse Mosca non era compiutamente avveduta
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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Il dramma della guerra di aggressione russa all’Ucraina è tutta qui: un dramma non risolvibile se non trasformando il conflitto da militare in competizione economica, come di fatto sta accadendo, ponendo il dominio del dollaro in discussione e indebolendo via via le ideologie di autosufficienza energetica sia Usa, sia Ue. Insomma, un dramma che vedrà tacere le armi, ma che inaugurerà una guerra economica di lunga durata di cui sarà difficile prevedere l’esito, se non si ritorna a una volontà comune di perseguire l’equilibrio anziché il dominio».
Presto o tardi anche la guerra in Ucraina finirà. Sarebbe utile farsi già da subito (oltre alla scelta del momento di sostenere la resistenza e la popolazione ucraina) un’idea di come si potrà riordinare un mondo i cui equilibri hanno subito una seria scossa nell’ultimo mese
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Su Formiche Ferruccio Michelin scrive: «Il primo ministro pakistano, Imran Khan, ha impedito oggi, domenica 3 aprile, il voto parlamentare per togliergli la fiducia, dopo aver dichiarato che si trattava di una mossa orchestrata dagli Stati Uniti. Il presidente Arif Alvi ha poco dopo sciolto il parlamento su richiesta del premier. Ore concitate. La decisione è stata assunta dopo che il vice presidente dell’Assemblea nazionale, Qasim Khan Suri, ha impedito il voto su una mozione di sfiducia presentata dall’opposizione contro il governo Khan, dichiarandola in contraddizione con l’articolo 5 della Costituzione sulla “lealtà allo Stato”. Pochi minuti dopo, Khan si è rivolto alla nazione con un messaggio video nel quale si è congratulato con Suri, e ha suggerito al capo dello Stato di “sciogliere le camere, consentire che il potere torni al popolo e convocare nuove elezioni”».
Del fatto che il disordine mondiale sia crescente, si hanno indizi ogni giorno e in ogni angolo del Pianeta.
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Su Formiche Stefano Dambruoso e Francesco Conti scrivono: «Ma anche Hezbollah ha lodato l’attacco, avvenuto in concomitanza del meeting del Negev, che ha visto anche la presenza di leader arabi, tutti in contrasto con l’Iran (lo sponsor principale proprio di Hezbollah). Il proclama di elogio dell’organizzazione libanese guidata dal chierico Hassan Nasrallah ha stupito, in quanto Stato islamico e Hezbollah sono avversari in Siria, a poca distanza da Israele. I miliziani libanesi di fede sciita e le forze del Califfato si sono combattute già dal 2013, quando lo stesso Nasrallah annunciò la discesa in campo militare a fianco di Bashar al-Assad per combattere l’estremismo dello Stato islamico».
Mentre Washington cerca di riprendere rapidamente i rapporti con Teheran anche per affrontare la crisi petrolifera provocata dall’aggressione russa all’Ucraina, quella fondamentale filiale dell’influenza iraniana nella Mezzaluna fertile che sono gli Hezbollah ricomincia a fare il suo sporco lavoro contro Israele. Ecco un altro frutto del disordine mondiale.
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Su Startmag Giuseppe Gagliano scrive: «Il presidente del Messico ha dichiarato che il suo paese è “sovrano” in risposta ai commenti, fatti da un alto funzionario militare degli Stati Uniti, secondo cui il Messico ospita più personale dell’intelligence russa di qualsiasi altro paese al mondo».
Dovrebbe riflettere chi si ritrova gli effetti del disordine mondiale anche nel cortile di casa.
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Su Tpi Giuseppe Conte: «La permanenza nella Nato non è in discussione, ma impegnare 13 miliardi per le armi con le famiglie che non arrivano a fine mese oggi non ha senso. Euro-atlantici sì, ma mai limitandomi a posizioni di acquiescenza. Il Pnrr? va a rilento. Dalla Cina auspico un intervento di mediazione nella guerra in Ucraina. Non farò un mio partito. Di Maio? In una fase così complessa è giusto che sia concentrato a fare il ministro degli Esteri».
Il disordine globale in Italia s’incarna anche in uno stravagante personaggio che il caso ha proiettato sulle scene nazionali. Con qualcuno che aveva scambiato “Giuseppi” persino per uno statista
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Su Dagospia si pubblica un articolo di Fabio Martini per “la Stampa” nel quale si scrive: «A sinistra la specialità della casa non cambia mai. In attesa che spunti il sol dell’avvenire, si smontano e si rimontano partiti e anche in questi giorni si stanno alacremente approntando nuovi accampamenti. La guerra, come è ovvio, fa da spartiacque e infatti i capi dei partiti del centro-sinistra (a fari spenti) stanno tracciando muretti e nel giro di qualche settimana affioreranno due nuove “Cose” di sinistra. Una “rosso-verde”, ancora in costruzione ma destinata a unire la Sinistra italiana di Nicola Fratoianni e i Verdi di Angelo Bonelli».
Mentre in Germania vi sono due partiti seri come sono la Spd e i Grünen con ottime capacità di leadership dello Stato, in Italia e in Francia il disordine mondiale ha disgregato la sinistra dalle fondamenta.
Foto Ansa
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