Leggendo i quotidiani del fine settimana, la sensazione che emergeva era univoca: il presidente Formigoni ha perso la sua battaglia, Bossi ha vinto la sua ennesima sfida politica e Berlusconi ha dimostrato, una volta di più, chi è il padrone assoluto della Casa delle Libertà. Ma questo teorema del “non si muove foglia che Silvio non voglia” è proprio vero? Vero che il Senatur esce rafforzato dal suo bluff sulla candidatura Maroni? Proviamo a dimostrare – con argomenti semplici semplici – che se in questa vicenda delle regionali in Lombardia c’è uno sconfitto, questo non è certo l’inquilino del trentesimo piano del Pirellone.
BOSSI ABBAIA, MA POI FA LA CUCCIA
Al netto delle interpretazioni che si possono liberamente avere degli eventi politici, ci pare che un dato debba essere valutato come univoco: il tempo. Se infatti il meridiano di Greenwich non è un’opinione, appare innegabile che il primo ad aver fatto marcia indietro, con tanto di profonda e nobile spiegazione del gesto riparatore a Radio Padania («Se andiamo da soli ci tagliamo le palle»), sia stato proprio Umberto Bossi, costretto dalla testardaggine della realtà politica ad ammettere en plein air il proprio bluff, autonomo o indotto che sia stato poco ci importa ormai, sulla candidatura di Maroni. Erano le undici del mattino di venerdì scorso mentre la conferenza stampa del presidente Formigoni si è svolta alle 17.30: chi ha fatto dietrofront per primo, quindi? Calcolando che Bossi, inoltre, ha dovuto ammettere che il ritiro dell’opzione autonoma è figlio legittimo del fatto che, se percorsa, quest’ultima avrebbe portato la Lega verso l’isolamento, la marginalizzazione e quindi l’irrilevanza politica e numerica. Non ci pare che Formigoni abbia motivato la propria decisione di rinunciare al mercato delle vacche da molti inscenato su liste e listini per motivi di così prosaica opportunità: anzi, ha parlato di rinuncia a «una guerra lampo», ma ha confermato l’ipotesi di «una battaglia politica più lunga». Sicuri, quindi, che abbia vinto il Senatur?
IL MONARCA HA VINTO, MA QUANTA RISPETTOSA FATICA
Soprattutto nella Gad va di moda il mantra in base al quale il vero vincitore della querelle lombarda sarebbe Silvio Berlusconi, monarca assoluto della coalizione e padre-padrone in grado con un “no” di far tremare il terreno e rendere i giganti dei nani. Anche in questo caso ci pare una visione un po’ strabica – o quantomeno comodamente di parte – visto che nella storia, millenaria, di monarchi assoluti costretti a incontrare quattro volte in dieci giorni un “vassallo ribelle” e alla fine scendere a patti con le richieste di quest’ultimo ne abbiamo conosciuti davvero, ma davvero pochi. Berlusconi è un leader, non un monarca. E Storace? E Fitto? Perché loro sì e Formigoni no?
Con tutto il rispetto per i due governatori e per le regioni che amministrano, il fatto che la Lombardia sia un laboratorio politico e sperimentale di quanto accadrà nel paese in futuro è notorio: di più, assieme a Catalogna, Baden-Wüttemberg e Rhone-Alpes tra i quattro motori d’Europa c’è la regione governata da Formigoni, non certo lo stipendificio del pubblico impiego e della rendita di Storace. Non ce ne vogliano, ma sono i numeri a parlare, non certo il nostro pur malcelato orgoglio.
FORMIGONI NON SI FERMA
«Ciò che abbiamo sollevato non si placa e non si ferma: è come un corso d’acqua, si può cercare di bloccarlo, di deviarlo, di contenerlo, di farlo scomparire sottoterra, ma non si può fermarlo. Non torno indietro dal progetto complessivo, non mi sento uno sconfitto… Penso infatti che faccia parte delle doti di un politico anche sostituire la guerra lampo con una guerra che può richiedere più passaggi. Ma l’importante è raggiungere l’obiettivo, ovvero aprire la coalizione a quella componente riformista e popolare della società che non riesce a riconoscersi immediatamente negli attuali partiti di destra come di sinistra… Su questa limpida proposta ho visto, accanto a importanti espressioni di sostegno, reazioni francamente deludenti e di chiusura. Si è scatenato un balletto poco edificante che sta deludendo i cittadini: no alla lista Formigoni, sì alla lista ma senza il nome, no neppure alla lista civica senza nome, sì ai posti nel listino, meno posti nel listino. Ho deciso di porre fine io a questo impasse, per senso di responsabilità, dicendo no al collegamento con la lista autonoma. D’ora in poi io sarò il candidato della Casa delle Libertà ma il mio progetto, avanzato da tempo e profondamente coerente con gli ideali della CdL, prosegue».