In sei mesi la Marina militare italiana ha salvato la vita a 26.814 migranti: è questo il bilancio più importante dell’operazione Mare Nostrum, che l’Italia ha varato il 18 ottobre scorso per far fronte allo stato di emergenza umanitaria in corso nello Stretto di Sicilia dopo la tragedia di Lampedusa. Solo qualche numero: 73 mila chilometri quadrati di mare pattugliato ogni giorno, 175 barconi soccorsi, 26.814 migranti salvati dal naufragio, di cui 1.724 donne e 1.804 minori, 800 marinai impiegati su cinque grandi navi che monitorano le acque con l’aiuto di aerei, elicotteri e motovedette e 70 criminali arrestati.
Tempi.it ha intervistato il comandante dell’operazione, il contrammiraglio Mario Culcasi, per capire nei dettagli come la Marina «trasforma dei viaggi della disperazione in viaggi della speranza con una missione di cui tutta l’Italia può andare fiera».
Contrammiraglio, con quali mezzi affrontate l’emergenza dei barconi?
L’afflusso dei migranti è eccezionale, siamo davanti a un esodo vero e proprio verso la frontiera sud dell’Europa. Noi pattugliamo un’area che è grande più o meno tre volte la Sicilia con aerei e navi, dotate di elicotteri imbarcati, e aiutati da assetti dell’aeronautica, della guardia di finanza e della capitaneria di porto.
Qual è lo scopo della missione?
Abbiamo due finalità: la prima è umanitaria e consiste nella salvaguardia della vita umana in mare. La seconda è militare e mira a catturare e assicurare alla giustizia chi lucra sul flusso dei migranti. E devo dire che l’operazione sta dando i suoi frutti.
Chi guida i barconi?
Su ogni gommone, su ciascuna carretta della disperazione c’è sempre a bordo qualcuno che è al timone e che si rende partecipe del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Fino ad oggi, ne abbiamo già catturati 70, di cui sei minori.
Come individuate i migranti?
Lo facciamo con tutti i sensori di bordo, radar, motovedette, anche di notte con dispositivi a infrarossi, siamo all’erta con elicotteri e aerei 24 ore su 24. Tutto quello che si muove in mare è dotato di un sensore che riporta la sua posizione, quando c’è un contatto con un mezzo che non dà segnale e attira la nostra attenzione, investighiamo e interveniamo.
Inconvenienti?
È successo di aver incontrato dei motopesca con i sensori spenti e di averli scambiati per barconi di migranti.
Tutti, dipende dalla situazione. Quando c’è una segnalazione di emergenza, un SOS, la prima cosa da fare è verificare quale unità navale sia più vicina al luogo del naufragio. Ovviamente si preferisce una nave militare che possa essere dirottata sul luogo alla massima velocità, ma nel caso sia troppo lontana si allertano anche mercantili privati che tramite gli armatori vengono contattati.
Anche i marinai comuni partecipano ai salvataggi?
Affermativo, è un obbligo di legge salvaguardare la vita e prestare soccorso in mare a prescindere dall’attività che si sta svolgendo: è nel dna del marinaio e quando c’è una chiamata di soccorso sul canale 16 chi è più vicino interviene, fosse anche una barca a vela o una barchetta di pescatori.
È mai successo in questi sei mesi di avere bisogno di mercantili privati?
Sì, tra il 7 e 9 aprile abbiamo avvistato un numero notevole di barconi: ci sono stati 35 eventi “sar”. Significa che contemporaneamente stavano affondando 35 barconi con un numero tra 100 e 400 migranti su ciascuna imbarcazione. Con cinque navi in mare e sei motovedette era impossibile salvarli tutti: da chi dovevamo andare per primi? Ecco perché abbiamo inviato altre tre unità navali e coinvolto nel salvataggio tre mercantili. È stata una delle imprese più difficili di questi sei mesi ma grazie a Dio abbiamo salvato tutti: 6.530 persone.
Gli altri paesi dell’Unione Europea o quelli che si affacciano sul Mediterraneo condividono gli sforzi dell’Italia?
Queste sono questioni politiche. Diciamo che il nostro paese ha immediatamente dato una risposta chiara e concreta in seguito al disastro del 3 ottobre davanti a Lampedusa, dove sono morte più di 300 persone. Abbiamo preso una decisione unilaterale per dire: mai più tragedie del genere. Poi i nostri governanti si stanno impegnando perché l’Italia sia sostenuta anche dall’Ue. Ma questo è un altro film.
Come sono i barconi che trovate?
Dipende. Quando arriva una segnalazione, io che sono il comandante tattico in mare ordino all’unità più vicina di dirigere alla massima velocità per investigare e acquisire un contatto ottico. Di solito troviamo gommoni di 10-12 metri, stracolmi e sovraccarichi di persone con un piccolo fuoribordo. La gente è così accalcata che si fanno male a vicenda e non hanno dotazioni di sicurezza, come il salvagente individuale. Di solito sono in mare da uno o due giorni e li troviamo molto spossati, disidratati, in stato di ipotermia.
Come vi comportate?
Prima di tutto mettiamo in mare i nostri mezzi minori, perché con le navi non possiamo avvicinarci più di tanto: ci disponiamo a ridosso nelle vicinanze per calmare il mare e per fare in modo che il vento non li colpisca. Nei mezzi minori ci sono il dottore, gli operatori di recupero naufraghi e i traduttori. Spesso ci avviciniamo con cartelli scritti in arabo, passiamo loro i salvagenti e li calmiamo perché in quella fase sono stanchi, agitati e spaventati: e se si agitano troppo c’è il rischio del ribaltamento del natante. Li portiamo poi a bordo della nave a gruppi di 10, 15, 20 persone e qui i migranti vengono rifocillati e cambiati se bagnati. Prima ovviamente ci dirigiamo verso i bambini e le donne. Sono tanti i casi di donne incinte e di neonati, anche bambini di pochi mesi o minori non accompagnati. Forniamo the caldo, biscotti e altri generi di primo conforto, poi facciamo uno screening sanitario per scoprire subito se c’è qualche caso di malori più gravi. Infine li sbarchiamo a terra.
Come venite accolti dai migranti?
Questa è una domanda scontata: loro stanno affrontando un viaggio della disperazione e quando ci vedono arrivare questo si trasforma in un viaggio della speranza. Nei nostri confronti hanno atteggiamenti molto positivi e sono tutte persone che dimostrano una dignità unica: non creano nessun problema e si mettono a nostra disposizione perché capiscono di essere stati salvati.
Quali sono i problemi che incontrate durante i salvataggi?
Come Marina militare abbiamo nel nostro dna il soccorso in mare e quindi siamo addestrati. I principali problemi sono dovuti alle condizioni del mare, perché quando è agitato, ed è capitato, le condizioni sono proibitive ed è difficile anche solo mettere i nostri mezzi minori in mare perché rischia la vita innanzitutto il nostro equipaggio. Queste situazioni ovviamente non ci fermano, devono essere affrontate con maggiore attenzione e finora anche in condizioni limite l’abbiamo fatto nel migliore dei modi.
Cosa prova a guidare questa operazione?
Sulle cinque navi siamo in 800 marinai e tra noi nasce una gara di solidarietà verso queste persone. Sappiamo che dobbiamo intervenire rapidamente, con la massima professionalità, spirito di sacrificio e di abnegazione e tutti i membri dell’equipaggio partecipano ai salvataggi, anche quelli che magari in quel momento sarebbero liberi dal servizio. Tutti danno una mano, anche perché queste persone quando arrivano a bordo non hanno solo bisogno di cure mediche, ma anche di sentirsi confortati. Noi facciamo solo il nostro dovere e io sento di compiere qualcosa di davvero importante, sia per loro che per la marina che per il nostro paese. Credo che questa missione sia per tutta l’Italia motivo di orgoglio: possiamo andarne fieri.