L’esame più duro lo andammo a preparare in convento. Eravamo in cinque, ognuno in una celletta, ospiti dei carmelitani scalzi. Ricordo quei sette giorni come quando si pensa a una esperienza che ha del sale; a differenza di quelle circostanze insipide in cui ci si tuffa nel particolare che si vuole rimuovere. I monaci erano gente lieta. E questo fu il primo dato. Lavoravamo tutto il giorno. E pregavano. Ma la cosa che più ci colpì fu che ogni particolare, dalla recita delle ore alla colazione al mattino erano dense di vita; lasciavano sempre un’impronta. A tavola mi fu assegnato il posto di fianco al monaco cantiniere (predestinazione) ed anche la briciola sulla tovaglia aveva un valore. Penso questo mentre al Casinò di Sanremo Marina Cepeda Fuentes presenta il suo libro: “La Cucina dei pellegrini: da Compostella a Roma, un singolare viaggio fra storia, usanze, profumi e sapori sulle antiche vie del pellegrinaggio” (470 pagine, Edizioni Paoline, £. 38.000). Ci hanno invitati – hanno detto gli organizzatori – per una sintonia tra il racconto di oggi dei miei luoghi del gusto e quello di ieri, costellati da quelle presenze pacificanti che erano i monasteri di tutta Europa. Il monastero di Bobbio e San Gallo furono edificati perché luoghi strategici per i pellegrini. E lì fiorì la produzione di birra… Lo leggerò questo libro, per ricercare le tracce di un’origine che è presente anche oggi nel racconto del gusto come lo sento io: più vicino a quella sacralità d’ogni cosa dei monasteri, che all’edonismo dei giorni nostri o alla disattenzione che regna anche nelle case, dove il particolare del nutrimento è più una funzione che un gusto. E la strada ai fast food, come concezione, si apre inesorabilmente. Dopo il convegno, siamo andati al piano di sopra, nel Casinò dove si gioca davanti ai croupier.
C’erano uomini e donne d’ogni età: giocavano cifre di vario genere, con una svogliatezza senza sorprese, segno che il gioco, quando diventa vizio, modifica anche la faccia delle persone. È triste. Tutto lì.
In ogni luogo e in ogni cosa che si fa c’è sempre un bicchiere di fronte, che è mezzo pieno o è mezzo vuoto. Il mio mezzo pieno contiene Verdicchio di Jesi di Ampelio Bucci. Un vino bianco che ha la corposità di un rosso. È rotondo ed evoca la mandorla in un equilibrio perfetto.