

Questa sera al cinema Odeon Duomo di Milano oltre novecento persone guarderanno Unplanned, film che mostra il vero volto della Planned Parentood, colosso americano in campo medico, ma che per la distributrice italiana «mira soprattutto a gettare un fascio di luce sulla tutela della maternità fragile». Alla serata, voluta da un Comitato organizzatore composto da professionisti, imprenditori e famiglie storiche milanesi, saranno presenti ospiti del mondo dell’imprenditoria, della cultura e dello spettacolo. Dall’attrice Maria Grazia Cucinotta al presidente di Assolombarda Alessandro Spada, dall’attore Giacomo Poretti alla giornalista Silvana Giacobini, dalla rock band dei The Sun a don Alberto Ravagnani, giovane prete youtuber che all’Odeon porterà i ragazzi del suo oratorio. La proiezione di Unplanned, film di cui questo giornale si è già occupato in diverse occasioni (vedi per esempio la recensione di Rodolfo Casadei e quella del Catholic Herald), è tutta pensata in onore della prossima Festa della mamma, come già indicato dalla curia milanese. Tempi ha intervistato Federica Picchi Roncali, presidente della Dominus Production, società che ha distribuito il film.
Com’è nata l’idea di festeggiare la Festa della mamma con la proiezione di Unplanned, per di più in quella Milano che Stendhal definiva la “città del piacere”?
Milano è anche la città delle tre D: discrezione, disciplina, dovere. Ed è talmente vero che l’idea della proiezione è nata proprio da un gruppo di storiche famiglie della città, imprenditori e professionisti costituitisi in un apposito Comitato. È stato un momento di condivisione importante, perché pur con visioni politico-sociali non perfettamente sovrapponibili, ognuno ha voluto lavorare allo stesso obiettivo: risvegliare nell’opinione pubblica il valore sociale della maternità e della vita nascente. La spinta è stata quella di mostrare una maternità che non sia più un peso individuale, bensì uno straordinario bene sociale, specie nell’inverno demografico in corso.
Il film narra la storia vera di Abby Johnson, una donna che dopo aver lavorato per quasi 10 anni alla Planned Parenthood divenendo direttore di una delle cliniche più importanti, decide di denunciarne le prassi.
Sì, nel 2008 Abby Johnson è stata addirittura premiata come “dipendente dell’anno”. Ammiro Abby Johnson per il suo coraggio, che non è solo quello di mettere in discussione le sue convinzioni, ma anche quello di mettersi contro il colosso per cui lavora. Una volta aperti gli occhi su Planned Parenthood, struttura che avrebbe dovuto accogliere le vulnerabilità genitoriali ma che di fatto le strumentalizzava a fini economici, decide di non girarsi dall’altra parte e di affrontare questo gigante americano con fermezza e dignità.
Lei ha già portato in Italia pellicole che hanno aperto dibattiti importanti, uno per tutti Cristiada, film sulla persecuzione anticattolica del popolo messicano (Tempi ne promosse la “prima” italiana), ma dalla cura con cui sta accompagnando Unplanned sembra che questo film abbia un posto tutto particolare all’interno della Dominus Production. È così?
Sicuramente. Per me è importante portare nel grande schermo storie vere, storie che interrogano ognuno di noi come individui e come collettività. Viviamo in un momento di grande solitudine per le giovani coppie che desiderano formare una famiglia, e spesso a risentirne è proprio la maternità. Con questo film desidero far comprendere quanto questa sia un enorme valore sociale, da tutelare con tutte le forze.
Un mese fa abbiamo avuto il caso di Enea e pochi giorni fa quello di Noemi, neonati lasciati dalle madri nelle “culla della vita”. Non c’è un che di paradossale in questa corsa alla solidarietà, scattata giustamente per due bambini già nati e invece inesistente per quelli che ancora non hanno visto la luce?
Senza alcun dubbio. Dobbiamo farci una domanda: se le mamme di Enea e di Noemi, per aver rifiutato la morte hanno compiuto una “scelta coraggiosa” (così hanno giustamente scritto tutti i giornali), perché tante donne in situazioni simili vengono invece abbandonate alla loro solitudine?
Sappiamo che non ha ancora autorizzato l’uscita del Dvd del film, scegliendo appositamente di creare ad ogni proiezione l’effetto di una “prima”. È con questo spirito che l’ha fatto proiettare in tutto il paese?
Organizzare proiezioni nelle sale più importanti d’Italia, coinvolgendo di volta in volta il tessuto associativo e culturale di quella precisa realtà territoriale, permette di dare particolare autorevolezza al momento. Interrogarci, e interrogarsi come collettività, non ha prezzo. Quando poi lo si fa partendo da una storia vera, che non vuole certo giudicare ma solo far riflettere, è ancora più bello e istruttivo. Dobbiamo tornare ad essere uniti, a camminare insieme, e questo percorso non può prescindere dalla tutela delle fragilità. È con questo spirito che organizziamo sempre più “mattutini” nelle scuole, con riscontri sorprendenti sia da parte dei professori che dei ragazzi.
Quali sono le reazioni degli studenti al film?
Girando molto per le scuole, a volte ho l’impressione che i giovani abbiano perso la speranza di poter influire sul mondo con i loro talenti. Anzi, credono di non avere alcun talento, forse perché nessuno glielo fa emergere o semplicemente perché gli “ideali” di questa società non scaldano il loro cuore. Per me quindi è una grande gioia incontrare i loro sguardi dopo la proiezione: occhi commossi, che si interrogano, che comprendono che da ogni ferita può nascere una ricchezza. Dopo il film lavoro molto sulla loro consapevolezza, sul fatto che ognuno di loro, interrogandosi sul principio di realtà, può fare la differenza. Unplanned ha il grosso merito di stimolare le capacità filosofico-analitiche di ogni studente.
Dobbiamo considerare Unplanned come un ariete pronto a far crollare le mura dogmatiche di una Milano ancora “da bere”?
Non credo ci siano mura da far crollare, ma solo tanto interesse a ritornare all’essenza, al “principio di realtà” di cui dicevo, ormai sempre più dimenticato. Troppa confusione porta a perdere di vista l’uomo. Personalmente rifuggo gli slogan e le etichette, che prima o dopo si trasformano in maschere, sono invece alla costante ricerca di autenticità. Penso sia la strada giusta, e il riscontro di pubblico in ogni sala, dal Nord al Sud Italia, ne è la cartina tornasole.
Cosa spera allora per la proiezione di questa sera?
Spero che tra gli spettatori, sui giornali e nei bar si discuta sempre di più di cura, di bellezza e di vita. Tutti i milanesi conoscono e amano il Cav della “loro” Mangiagalli, a cui sarà devoluto parte del ricavato della serata. Ripartiamo allora dalla vicenda personale di Abby Johnson e dall’opera preziosissima di Paola Bonzi, “cieca veggente” e amorevole madre putativa di decine di migliaia di bambini. Due storie bellissime, che ci interrogano e che, insieme, ci donano quella speranza di cui tutti abbiamo bisogno.
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