Dicono le fonti locali che erano circa 400 mila i messicani che sabato scorso hanno marciato nella capitale Città del Messico per dire “no” all’iniziativa legislativa del governo a favore del “matrimonio egualitario”. In un paese in cui si verifica da decenni «il divorzio tra la fede e la testimonianza pubblica», come scritto pochi mesi fa dal giornalista messicano Jorge Traslosheros, l’iniziativa del popolo della famiglia non è partita dalla Chiesa ma dai laici. E non si tratta di un’iniziativa improvvisata.
LE TAPPE. La battaglia per il matrimonio gay, riaperta quest’anno a maggio dopo che il presidente messicano Enrique Peña Nieto aveva presentato una riforma per la legalizzazione delle nozze fra persone dello stesso sesso, è cominciata nel 2011. Allora il Parlamento del Messico riformò l’articolo primo della Costituzione in difesa dei diritti umani per annoverare fra questi l’orientamento sessuale. Solo tre anni più tardi la Corte Costituzionale si è pronunciata dichiarando illegale la definizione di matrimonio come «unione libera fra un uomo e una donna» contenuta nel codice civile.
RIDEFINIZIONE DEL MATRIMONIO. Già nel 2011, un gruppo di laici ha creato un’associazione, la “Confamilia”, per fare fronte all’emergenza e vigilare sulla libertà di educazione minacciata nelle scuole dall’ideologia gender. L’anno scorso, dopo la sentenza della Corte Suprema, Confamilia ha raccolto 240 mila firme per chiedere la modifica dell’articolo 4 della Costituzione, con lo scopo di esplicitare che il matrimonio è solo fra uomo e donna. Proprio mentre veniva consegnato al Senato un ddl di iniziativa popolare, il presidente ha reso nota la sua volontà di ridefinire la famiglia in senso opposto.
Il 17 maggio, infatti, durante la giornata contro l’omofobia, Peña Nieto ha annunciato la sua ridefinizione: «Il matrimonio è un’unione libera fra due persone per realizzare una comunione di vita nella quale le parti si rispettano e si aiutano vicendevolmente e in modo uguale». Per coerenza, il presidente ha chiarito che a questa modifica ne sarebbero seguite altre in modo da abrogare tutte le discriminazioni anche nell’ambito educativo-scolastico.
OLTRE 1,5 MILIONI DI PERSONE. Di fronte all’annuncio, Confamilia insieme a tante altre associazioni ha costituito il “Frente Nacional por la Familia”, che il 10 settembre ha portato nelle piazze di 125 città oltre un milione mezzo di persone. La protesta è arrivata poi anche nella capitale. Il risveglio di un laicato indebolito dalle leggi degli anni Trenta, che hanno messo a tacere i sacerdoti per anni, ha portato anche la Conferenza episcopale ad appoggiare le proteste: «Il futuro dell’umanità si forgia nel matrimonio e nella famiglia naturale». La Chiesa e i vescovi, come ha dichiarato a Fides il vescovo di Zacatecas, Sigifredo Noriega Barcelò, «vedono di buon occhio questo risveglio della popolazione e lo sostengono, ma non ne siamo i promotori».
La precisazione è giunta dopo che diversi prelati, come il vescovo di Cuernavaca, Ramon Castro, denunciato per il suo appoggio alla marcia, sono stati attaccati in nome dell’articolo 130 della Costituzione (retaggio delle persecuzioni anticlericali) che proibisce ai sacerdoti di intervenire negli affari dello Stato.
LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO. La mobilitazione ha un significato storico per il fronte della famiglia, che ha chiesto di incontrare il presidente per «fargli conoscere le nostre preoccupazioni e le nostre ragioni rispetto all’iniziativa di legge». Forse anche per questo, durante l’Angelus di domenica, papa Francesco è intervenuto così: «Mi associo ben volentieri ai vescovi del Messico nel sostenere l’impegno della Chiesa e della società civile in favore della famiglia e della vita, che in questo tempo richiedono speciale attenzione pastorale e culturale in tutto il mondo».
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