Rimini. La guerra in Iraq, Libia e Siria; l’instabilità in Egitto e Tunisia; l’impossibilità di vivere in Eritrea e Mali. Situazioni che causano «migrazioni di proporzioni bibliche verso l’Italia», come le definisce il capo di Stato maggiore della Marina militare Giuseppe De Giorgi, davanti alle quali «il nostro paese non può voltarsi dall’altra parte». Ma neanche possiamo evitare di chiederci, ammette l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu monsignor Silvano Maria Tomasi, «perché giovani immigrati di seconda e terza generazione decidono di andare a combattere in Iraq con lo Stato islamico», rifiutando la cultura che li ha accolti.
MARE NOSTRUM E I CRISTIANI. Problemi a cui si è cercato di dare risposta ieri mattina al Meeting durante l’incontro “L’immigrazione e il bisogno dell’altro: Italia, Europa, mondo”. Se il capo della Marina ha ricordato come l’Italia «non sia rimasta indietro», mettendo in piedi l’operazione Mare Nostrum «senza cooperazione internazionale», soccorrendo «113 mila persone» in dieci mesi, monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale (qui l’intervista a Tempi), ricordando le parole di papa Francesco ha invitato «tutti ad assumersi le proprie responsabilità»: «Il Mediterraneo è diventato un cimitero e noi non possiamo restare indifferenti e cinici. Bisogna cercare di far sì che ogni persona possa vivere bene nella sua patria ma allo stesso tempo non si può chiudere la porta a questi migranti». Denunciando il senso di «fastidio e repulsione che la maggior parte dei siciliani» (e degli italiani) «prova verso gli immigrati per motivi utilitaristici», ha ricordato che tutti, in particolare i cristiani, «hanno il compito di accogliere queste persone seguendo la famosa parabola del buon samaritano e le stesse parole di Gesù: “Ero straniero e mi avete accolto”».
ACCOGLIENZA IN FAMIGLIA. È quello che ha cercato di fare l’avvocato di Siracusa Carla Trommino con la sua associazione AccoglieRete, che si occupa dei minori senza genitori che sbarcano sulle nostre coste. «Quando abbiamo cominciato a muoverci a metà 2013 la situazione era drammatica: minori rifiutati dalle comunità perché lo Stato non pagava. Persone ridotte a numeri e costrette a vivere con gli adulti, spesso subendo abusi, senza vestiti e luoghi dove dormire. Senza considerare che tanti scappavano per dedicarsi alla criminalità».
Trommino non ha «aspettato le istituzioni» e ha cominciato ad occuparsi di questi minori: oggi ne «ha strappati 700 a centri di accoglienza strapieni e disumanizzanti». A tutti è stato affidato un tutore, che cerca di capire la storia del ragazzo e cosa vorrebbe dal futuro. Tanti, infine, sono stati accolti dalla comunità di Siracusa: «Trenta minori sono stati accolti in casa in affido da 18 famiglie e due parrocchie. Secondo noi inserire queste persone nel contesto educativo familiare è la cosa migliore che ci sia. Vivere con loro spesso è l’unico modo per conoscerli davvero, aiutarli a trovare la loro strada ed evitare il destino dei ghetti come a Parigi».
«CONOSCERSI È FONDAMENTALE». Ma per evitare la ghettizzazione di chi viene accolto, conclude monsignor Tomasi, servono tre passi: «Prima di tutto bisogna conoscersi a vicenda, comprendere quelle situazioni impossibili da cui i migranti cercano di evadere, mettendo da parte pregiudizi e stereotipi ed esorcizzando la paura dell’altro, che non è un nemico ma una persona con cui dialogare. La tolleranza non basta, serve integrazione». Perché questo avvenga, però, «bisogna gestire l’immigrazione. A Dubai il 95 per cento dei residenti è un immigrato che lavora ma non ha diritti. È necessario accettare i migranti per costruire insieme la società, ma anche chi arriva deve accettare di vivere nella cultura che trova per costruire la società insieme: altrimenti ci saranno solo ghetti». Questo è l’unico modo per riconoscere «nell’altro che ci viene incontro nella notte, come suggerisce una famosa parabola del Talmud, non un nemico ma il nostro fratello appartenente alla comune famiglia umana».