Manchester. Non bastano abbracci e merendine per fermare i terroristi islamici

Di Leone Grotti
24 Maggio 2017
Davanti all'ennesimo attentato le reazioni sono disarmanti. Le parole d'ordine di un Occidente stanco e annoiato si ripetono sempre uguali in una tiritera diventata ormai macabra
Police evacuate Arundel shopping centre near to the Manchester Arena in central Manchester, England Tuesday May 23 2017. Police confirmed that 19 people were killed in an explosion following a Ariana Grande concert at the venue late Monday evening. (AP Photo/Rui Vieira)
Police evacuate Arundel shopping centre near to the Manchester Arena in central Manchester, England Tuesday May 23 2017. Police confirmed that 19 people were killed in an explosion following a Ariana Grande concert at the venue late Monday evening.  (AP Photo/Rui Vieira)

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«Questo è un attacco molto ben pianificato e sofisticato». Lee Dodderidge è un ex membro dell’ufficio antiterrorismo britannico e parlando ai media inglesi il giorno dopo l’attentato di Manchester non si fa abbagliare neanche per un attimo dalla teoria strausurata e strasmentita del “lupo solitario”. L’uomo che si è fatto esplodere lunedì sera all’uscita dell’Arena dove si stava concludendo il concerto della cantante Ariana Grande, e che ha fatto oltre 2o morti e una sessantina di feriti, non era un attentatore improvvisato. «Visto che era da solo al momento dell’esecuzione qualcuno potrebbe pensare a un lupo solitario, ma per fare attacchi di questo tipo ci vuole una grande pianificazione», aggiunge.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]«PASSO AVANTI». La polizia e i servizi segreti britannici hanno rivelato che il «soldato del Califfato» che ha mietuto vittime «a un raduno di Crociati», secondo la terminologia usata nella rivendicazione dell’Isis, si chiama Salman Abedi, 23enne inglese di origini libiche. Per ora tre persone sono state arrestate e questo confermerebbe l’analisi fatta al Mirror dall’ex capo dell’antiterrorismo britannico, Chris Phillips: «Ci sono diversi tipi di attentati e in questo caso siamo davanti a un passo avanti rispetto a quello di Londra», quando il 22 marzo il terrorista islamico Khalid Masood ha falciato 50 persone sul ponte di Westminster con un’auto uccidendone quattro.

«ADDESTRATI ALLA GUERRA». «Ci sono i principianti (Masood, ndr) e chi è stato addestrato alla guerra. Questo è evidentemente un attacco pianificato perché implica delle persone che controllino il luogo dell’attentato», continua Phillips. Resta da capire come l’autore abbia fatto ad acquisire le capacità necessarie a fabbricare una bomba e a farla detonare durante un evento pubblico di questa portata. C’è anche un altro dettaglio che porta a pensare a un attacco non improvvisato: «Ricordiamoci che l’attentato è avvenuto a quattro anni esatti dall’assassinio di Lee Rigby», aggiunge Phillips. Fu esattamente il 22 maggio 2013 che Michael Adebolajo e Michael Adebowale, due cattolici di origine nigeriana convertitisi all’islam nel Regno Unito, sgozzarono con un machete il militare londinese inneggiando ad Allah.

JIHADISTI A MANCHESTER. Come ricorda l’Economist l’intelligence britannica ha una lista di 3.000 potenziali terroristi che potrebbero colpire da un momento all’altro. Di questi, solo 40 sono seguiti 24 ore su 24 con uno sforzo notevole che impiega ben 720 agenti. Controllarli tutti sarebbe impossibile. Almeno 1.500 persone hanno lasciato la Gran Bretagna negli ultimi anni per unirsi allo Stato islamico in Siria e Iraq, molti di loro sono tornati, tanti a Manchester. La città è una delle piazze principali del reclutamento jihadista in Inghilterra, abitata da una storica comunità pakistana all’interno della quale i predicatori di Al-Qaeda sono riusciti a fare molti proseliti in passato. E solo una settimana fa, agli inni alla guerra santa cantati dall’Isis, si è unito l’appello jihadista del figlio di Osama Bin Laden, Hamza, che ha incitato i seguaci di Al Qaeda a una nuova offensiva contro i “crociati” occidentali.

RASSEGNAZIONE DELL’OCCIDENTE. Davanti all’ennesima strage, tanto più odiosa in quanto ha colpito molti ragazzini e perfino bambini, le reazioni sono disarmanti. Le parole d’ordine si ripetono sempre uguali in una tiritera diventata ormai macabra. Se dopo il primo attentato di Parigi del 2015, quello contro la redazione di Charlie Hebdo e il supermercato Hyper Cacher, risposte emotive come «non avrete il nostro odio» o gli hashtag zuccherosi erano ancora comprensibili, due anni e mezzo e 13 grandi attentati dopo (per non parlare di quelli minori), l’eterno ritorno delle stesse identiche reazioni dà solo una sensazione di impotenza, indifferenza e rassegnazione al male.

TUTTO COME PRIMA. È un esempio di questa rassegnazione annoiata l’intervento di Aldo Cazzullo sul Corriere, laddove scrive che «nessuno può stare tranquillo. Ma nessuno può perdere la testa. Domani proprio il Manchester United si gioca l’Europa League a Stoccolma. Tra dieci giorni a Cardiff le due migliori squadre d’Europa si sfideranno per la Champions. Il primo luglio a Modena Vasco Rossi terrà il più grande concerto della storia italiana. Dovremo vigilare; però dovremo anche vivere. Anche per i bambini di Manchester». Tutto deve andare avanti come prima, è il succo. Niente deve cambiare.

MERENDINE E ABBRACCI. Anche l’incapacità di dare un nome al male stona. Così su Repubblica, la dottoressa Vegetti Finzi consiglia di spiegare ai bambini delle elementari «che non è in corso una guerra», propone scambi di merendine per celebrare l’amicizia, mentre a quelli delle medie bisognerebbe dire che i terroristi sono persone che vivono «tra noi, ma che si sentono estranee, provano un disagio profondo, e che l’unico modo per superarlo è stabilire scambi di conoscenza: solo conoscendosi bene, non ci si sente più nemici». Agli adulti, infine, consiglia di «andare fuori, dare testimonianza di fiducia e speranza».

«IL PROBLEMA È L’ODIO». Le stesse identiche reazioni si leggono sui giornali inglesi. Owen Jones scrive sul Guardian che «l’odio di questo patetico e perverso perpetratore – il cui nome dovrebbe essere dimenticato – non può neanche essere paragonato all’amore e alla solidarietà di Manchester. Inevitabilmente ci sono avvoltoi mossi dall’odio che sorvolano su questa atrocità chiedendo di rispondere esattamente come i terroristi vorrebbero». Ecco. Ieri ancora non si sapeva il nome dell’autore, ma già qualcuno voleva dimenticarlo per concentrarsi sui veri “cattivi” che sono tra noi.

«ANDIAMO AI CONCERTI». Purtroppo non è così che si sconfiggerà il terrorismo islamico e non è neanche scrivendo con i gessetti “pace” sull’asfalto o suonando Let it be con la chitarra o Imagine con il pianoforte in piazza o continuando a prendere il tè alle cinque. I nuovi leader politici, al pari dei vecchi, sono spiazzati. Il neo presidente francese, Emmanuel Macron, terrà accese le luci della Tour Eiffel in segno di solidarietà. Il suo ministro della cultura, François Nyssen, ha commentato così la strage: «Non possiamo lasciarci prendere dalla paura. Continuiamo ad andare ai concerti». Frasi che ormai non hanno più senso. La musica unisce, è vero, ma non ferma le bombe.

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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