È difficile mantenere un distacco razionale di fronte alla lancinante esperienza di una patologia grave, che si cronicizza e provoca dolore crescente. Se però viene chiamata in causa la legge sul biotestamento appena approvata, è doveroso chiedersi se tale richiamo sia corretto. E se la vicenda di Nuoro è presentata come la prima applicazione di quella legge, va detto che la volontà della paziente è stata espressa in forma diretta, senza alcuna “anticipazione”: quindi non vi è stato alcun “testamento”. Si tratta invece della disciplina del consenso informato, secondo la quale (comma 5 dell’art. 1 della nuova legge) il paziente può rinunciare a «trattamenti sanitari necessari per la propria sopravvivenza», fra i quali è fatta rientrare la ventilazione artificiale.
La sedazione inserita in una procedura che – come è accaduto a Nuoro – prevede la sospensione di sostegni vitali non è funzionale a calmare la sofferenza, bensì a porre fine alla vita di un paziente per il quale non si prospetta una morte imminente. Se le parole hanno un senso, quello di Nuoro è un caso di eutanasia: per omissione quanto alla sospensione della ventilazione artificiale e attiva quanto alla cosiddetta sedazione profonda.
È grave in sé, ed è grave perché per il medico la legge formalmente non prevede l’obiezione di coscienza: lo ha riconosciuto a suo tempo in Parlamento il ministro della Salute. Il caso di Nuoro da un lato indica l’eutanasia come “rimedio” che l’ordinamento prospetta a chi soffre, dall’altro conferma l’assenza di qualsiasi tutela per il medico che non intende seguire pratiche di morte.
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