Il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, lancia l’allarme: la spending review del premier Mario Monti rischia di azzerare l’istituto di ricerca, da gennaio non si produrranno più statistiche. «Un istituto nazionale di statistica è necessario e deve essere autonomo dalla politica» spiega a tempi.it Luca Pesenti, ricercatore di sociologia generale all’Università Cattolica di Milano e componente del Cies, che monitora per il ministero del Welfare la povertà e l’esclusione sociale. «Come analista delle politiche pubbliche, posso assicurare che per programmarle la statistica è decisiva».
Troppo spesso, però, i dati statistici sono spettacolarizzati e strumentalizzati da destra e sinistra.
C’è la tendenza dei media di utilizzare i numeri in modo spasmodico e di interpretarli a piacimento. Ma il compito dei numeri è produrre buona conoscenza, utile per delle buone politiche pubbliche. Giovannini sta facendo un ottimo lavoro, ha ridato freschezza, ad esempio, ai dati sulla povertà ma se proviamo ad andare sul sito dell’Istat oggi, 13 luglio 2012, in tempo di tagli alla spesa pubblica troviamo alcuni indicatori sulla Sanità che sono fermi al 2008 o anche al 2007. Per quanto riguarda la spesa per le pensioni, i dati sono fermi al 2009. Su alcuni grandi argomenti come la conciliazione famiglia–lavoro, non si muove niente dal 2009. Questo è il problema: l’Istat fa un lavoro egregio su molti dati di contabilità nazionale, come il mercato del lavoro, ma su altri fronti decisivi sia per la politica che per il cittadino non è sul pezzo ma offre numeri datati.
Quindi l’Istat deve darsi una mossa?
È chiaro che la ricerca sociale ha bisogno di tempo. Un buon lavoro non si può fare in un mese: qualche ritardo è comprensibile, ma non di tre o quattro anni. Quanto più i dati sono vecchi, tanto più la politica non li userà e metterò da parte quelli più “scomodi”. Dunque, quale ruolo lo Stato vuole che abbia l’Istat? Ci tiene all’indipendenza dei dati? E allora non deve tagliare i fondi per la ricerca, come denuncia Giovannini.
Si può parlare di tagli “boomerang”: lo stesso Giovannini ha dichiarato che l’Istat ha offerto molti dati ad Enrico Bondi.
Un altro taglio metterebbe l’Istat in seria difficoltà. I numeri sulla situazione reale del non profit, del privato sociale in Italia, sono fermi al 1999 e sono stati presentati nel 2011, in ritardo per mancanza di fondi.
Bisogna rivedere i meccanismi di produzione dati dell’Istat?
La gestione dell’Istituto, negli ultimi anni, è stata sempre più centralizzata. Un Istat “regionalizzato” con adeguati contrappesi, per garantirne l’autonomia dagli enti locali, potrebbe accelerare la fluidità dei dati. Purtroppo in questi anni si è andati nella direzione opposta, smobilitando le sedi regionali.