

Una banda armata ha cercato di assassinare il capo del Parlamento libico, Mohamed al-Magariaf, riuscendo solo a ferire gli uomini della sua scorta. Il suo portavoce ha dichiarato ieri a Reuters: «Era disarmato ma è riuscito a sfuggire all’attentato, al contrario di tre suoi uomini che sono rimasti feriti». Al-Magariaf si trovava nella sua residenza di Sabha, 800 km a sud di Tripoli, nel sud del paese, dichiarato poche settimane fa dal governo libico zona militare.
SUD IN MANO ALLE BANDE ARMATE. Il capo del Parlamento libico si trovava a Sabha per incontrare ufficiali locali e leader di comunità tribali. Il sud del paese è teatro continuo di scontri tra bande armate e violenze tribali, esplose dopo l’uccisione di Gheddafi, tanto che a metà dicembre il Parlamento ha deciso di chiudere le frontiere con Chad, Niger, Sudan e Algeria nel tentativo di arginare l’arrivo da quei paesi di terroristi. Il sud della Libia, invece, è stato dichiarato zona militare per strappare la regione alle bande armate e ristabilire il controllo del governo.
MILIZIE E TRIBÙ AL COMANDO. L’attentato al capo del Parlamento dimostra che la situazione non è affatto migliorata e che il governo di Tripoli non è in grado di riunire le diverse anime (tribali) del paese e di contrastare le centinaia di milizie, che si sono impossessate delle armi degli arsenali di Gheddafi, molte addestrate dagli uomini di Al-Qaeda, che hanno preso potere su diverse città e aree della Libia. Che Tripoli sia incapace di far rispettare la legge in Libia lo dimostrano, oltre all’uccisione dell’ambasciatore americano Chris Stevens, lo strapotere degli integralisti islamici e le dichiarazioni di «impotenza» del governo stesso.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!