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Libertà per Asia Bibi (diffondete ovunque questo taz&bao)

Antonio Socci ha ragione. Bisogna fare qualcosa per Asia Bibi, la donna cristiana che è stata condannata nel novembre del 2009 in Pakistan per false accuse di blasfemia.

Redazione
11/12/2012 - 13:28
Esteri
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Antonio Socci ha ragione. Bisogna fare qualcosa per Asia Bibi, la donna cristiana che è stata condannata nel novembre del 2009 in Pakistan per false accuse di blasfemia.
Domenica Socci ha scritto in prima pagina su Libero un lungo commento in cui, oltre a ripercorrere la storia della donna, si chiede perché mai non ci sia un municipio in Italia che abbia il coraggio di esporre l’immagine di Asia Bibi. Già, perché?
Sul prossimo numero del settimanale Tempi abbiamo deciso di pubblicare un taz&bao con alcune delle straordinarie parole che la donna ha scritto in una lettera pubblicata sabato da Avvenire (le potete leggere qui: «Se mi condannate perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificarmi»).
In pagina trovate l’immagine che vi invitiamo a diffondere attraverso la rete, a stampare e appendere ovunque lo riteniate opportuno (l’immagine può essere scaricata anche qui in formato pdf)
Di seguito pubblichiamo il testo dell’articolo di Socci, tratto dal suo blog.

IMPICCANO UNA MADRE DI CINQUE FIGLI PERCHE’ CRISTIANA (chi vuol fare qualcosa per lei veda sotto questo articolo)

di Antonio Socci

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Asia Bibi, una madre di cinque figli, è in carcere da tre anni ed è stata condannata a morte per impiccagione perché cristiana a 1700 anni esatti dall’Editto di Costantino.

La libertà di coscienza, cioè il riconoscimento pubblico della dignità umana, cominciò proprio quel giorno di febbraio del 313.

Il primo seme (ancora tanta strada c’era da fare) fu proprio quell’Editto di Milano, firmato da Costantino, a cui è dedicata la grande mostra che si è appena aperta a Palazzo Reale del capoluogo lombardo.

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L’editto concedeva “anche ai cristiani, come a tutti, la libertà di seguire la religione preferita” e decretò quindi “che non si debba vietare a nessuno la libera facoltà di aderire, vuoi alla fede dei cristiani, vuoi a quella religione che ciascuno reputi più adatta a se stesso”.

Da lì, pian piano, sarebbero nate tutte le libertà (infatti con quella dichiarazione di fatto iniziava a nascere anche la laicità dello Stato, perché il potere non poteva più essere divinizzato).

Eppure oggi, a 1700 anni da quella storica svolta, i cristiani nel mondo continuano ad essere perseguitati e massacrati per la loro fede in Gesù Cristo. Anzi, lo sono oggi più ancora che nell’antica Roma.

Il caso simbolo è appunto quello di Asia Bibi, una madre di cinque figli. Dal giugno 2009 è rinchiusa in una cella senza finestre nel carcere di Sheikhupura in Pakistan. Ha subito atrocità e umiliazioni ed è stata condannata a morte per la sola “colpa” di essere cristiana.

In questo paese a stragrande maggioranza musulmana infatti il regime fondamentalista da anni ha varato la terrificante “legge sulla blasfemia” che è come un spada di Damocle sui cristiani, la cui vita, i cui figli, i cui beni sono così alla mercé di chiunque li denunci di aver offeso Maometto.

Ieri “Avvenire” ha pubblicato una lettera di Asia Bibi dove fra l’altro si legge: “Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a un morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam”.

Questa mamma coraggio gli ha risposto: “preferisco morire da cristiana, che uscire dal carcere da musulmana. ‘Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto -. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui’ ”.

Sono parole impressionanti, pronunciate da una povera donna inerme, alla mercé dei suoi aguzzini, con cinque figli piccoli che l’aspettano in una povera casa.

Parole che sembrano davvero tratte dagli “Atti dei martiri” dei primi secoli cristiani.

Là in Pakistan del resto perfino uno dei pochi cristiani importanti come Shahbaz Bhatti e un saggio governatore musulmano (di idee liberali) come Salman Taseer sono stati ferocemente assassinati per aver chiesto pubblicamente l’abolizione dell’assurda “legge sulla blasfemia” e la liberazione di Asia Bibi.

C’è qualcuno in Occidente, dove tutti strologhiamo, stando comodi al caldo (e ci piace pure fare i “martiri” per la minima controversia), che sa commuoversi per questo vero e drammatico atto di eroismo?

C’è un municipio che esporrà l’immagine di Asia Bibi o – trattandosi di una cristiana – non interessa a nessuno?

Noi cristiani, semplici fedeli, sacerdoti, religiosi, vescovi e alti prelati ci sentiamo davvero toccati da una testimonianza così?

E se fosse chiesto a noi di rischiare – non dico la vita, ma – qualcosa per la nostra fede, saremmo pronti a dire di sì o rinnegheremmo Gesù Cristo?

E i nostri giornali e i nostri intellettuali, sempre pronti a firmare appelli per tutte le cause “politically correct”, anche meritevoli come quelle di Salman Rushdie o di Sakineh, emetteranno almeno un vagito per Asia Bibi?

Dove sono tutti quei seguaci di Voltaire i quali amano ripetere quella frase (che Voltaire non ha mai pronunciato) secondo cui – pur non condividendo le idee dell’avversario – bisogna essere disposti a dare la vita per permettergli di professarle?

Non ne ho mai visti di eroi simili dalle nostre parti. Dove, del resto, non è chiesto così tanto, ma basterebbe una innocua presa di posizione.

Perché il Pakistan non è proprio un paesello sperduto, ma una potenza nucleare di 180 milioni di abitanti – il sesto più popoloso del mondo – con un peso geopolitico molto forte.

Per inciso, la potenza ad esso avversa è l’India e anche lì i cristiani non se la passano per niente bene: basti ricordare le atrocità commesse contro di loro da fondamentalisti indù in Orissa.

D’altra parte quello di Asia Bibi è solo uno dei tantissimi casi di cristiani perseguitati. La voce di Benedetto XVI è l’unica ad alzarsi in loro difesa (e in difesa di tutti i perseguitati). Ma sembra del tutto inascoltata. I cristiani sono tornati ad essere “la spazzatura del mondo”.

Il 5 novembre scorso Angela Merkel ha sottolineato che “il cristianesimo è la religione più perseguitata del mondo”. Ebbene, è stata subissata da critiche, anche da associazioni che si occupano di diritti umani. Perché non è “politically correct” affermare una cosa simile.

Eppure la benemerita associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, nel suo “Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo”, ha rilevato che tre casi di discriminazione su quattro (cioè il 75 per cento) riguardano i cristiani.

D’altra parte il Novecento è stato per i cristiani un’immane macelleria. Certo, è stato un secolo di genocidi per tanti altri gruppi umani – a cominciare dal caso più satanico, la Shoah – ma fortunatamente si tratta di orrori universalmente riconosciuti, denunciati e aborriti come tali da tutti noi.

Solo i cristiani pare non abbiano diritto a essere annoverati fra le vittime e i perseguitati. Loro e la Chiesa devono stare sempre e solo sul banco degli accusati o degli irrisi. E senza lamentarsi.

Eppure i cristiani nel Novecento sono stati massacrati a tutte le latitudini e sotto tutti i regimi. E i dati sono impressionanti e sconosciuti.

Quando, dieci anni fa, scrissi un libro su queste persecuzioni (“I nuovi perseguitati”, Piemme), cercai dei dati statistici ufficiali, di fonte neutra.

Dunque consultai la ricerca sociologica più autorevole, appena uscita presso Oxford University Press, ovvero la “World Christian Encyclopedia” di David B. Barrett, George T. Kurian e Todd M. Johnson.

Da cui appresi che, nei duemila anni di storia cristiana, si potevanoquantificare in circa 70 milioni coloro che erano stati ammazzati, per via diretta o indiretta, a causa della loro fede in Gesù. Ma 45 milioni e mezzo erano martiri del XX secolo.

E tuttora ogni anno le vittime si contano in migliaia. Erano (e sono) dati sconvolgenti, però ignorati dai media.

A 1700 anni dall’Editto di Costantino che introdusse nel mondo la libertà di coscienza, una donna cristiana, condannata a morte solo per la sua fede, dal buio del suo carcere, scrive adesso parole che dovrebbero emozionare tutti.

Parole che sembrano arrivare dai primi secoli cristiani e che mostrano ancora oggi che il cristianesimo entrò nel mondo con un annuncio rivoluzionario: mentre le religioni pagane sacralizzavano il Potere, Gesù Cristo sacralizzava la dignità e la libertà di ogni singolo, piccolo essere umano.

“Gesù, nostro Signore e Salvatore” scrive Asia Bibi “ci ama come esseri liberi e credo che la libertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere”.

Ecco perché il caso di Asia Bibi riguarda chiunque abbia a cuore la propria libertà.

Antonio Socci

Da “Libero”, 9 dicembre 2012

 

PER CHI VUOL FARE QUALCOSA PER ASIA BIBI

Si può far avere la nostra protesta alle autorità pakistane. Riprendo, da “Avvenire” di oggi: “E’ possibile scrivere all’Ambasciata pachistana, via della Camilluccia 682, 00135 Roma, oppure inviare un fax al numero 06-36301936, o spedire una mail con il testo seguente:

APPELLO
Asia Bibi dalla sua cella: «Scrivete al presidente pakistano»
«Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento. Vivo con il ricordo di mio marito e dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi permetta di tornare da loro. Amico o amica a cui scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone nel mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e – se puoi – prega il Signore per noi e scrivi al presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari».
Con queste parole Asia Bibi, condannata a morte per il reato di blasfemia e detenuta da oltre 1.270 giorni in attesa della sentenza definitiva, conclude la lettera che «Avvenire» ha pubblicato sabato in prima pagina come editoriale. Numerosi lettori ci hanno scritto chiedendo come dare corso al suo appello. Dato che l’indirizzo dell’ambasciata fornito sabato si rivela inaffidabile, da oggi «Avvenire» si fa intermediario dalla raccolta: è possibile scrivere all’indirizzo e-mail [email protected] per aderire all’iniziativa, rivolgendosi, nel testo del messaggio, al Presidente del Pakitan, Asif Ali Zardari, sollecitando un intervento a favore di Asia Bibi, inserendo i propri dati anagrafici completi. Il giornale, raccolte lettere e firme, le trasmetterà in blocco secondo i canali diplomatici appropriati.
Tags: antonio socciasia bibiblasfemiaPakistan
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