Politica estera, dinamiche del lavoro, competitività economica, ruolo dell’Europa. L’alleanza per le politiche del 2006 fra Rifondazione e centrosinistra è un’unione contronatura. Tali inconfutabili contraddizioni hanno segnato in questi mesi la vita interna del Prc, i compagni si sono divisi e scontrati, arrivando a preparare un congresso con cinque tesi contrapposte. La maggioranza del segretario fausto Bertinotti si è ristretta e ha perso pedine che sino a ieri erano parte integrante del progetto. A parte i soliti Ferrando (l’ala trotksista, divisasi in due per l’occasione) e Grassi (il più vicino agli ex cossuttiani), ha presentato una propria tesi (“Un’altra Rifondazione”) il senatore Gigi Malabarba. Malabarba spiega a Tempi che «la vittoria di Vendola è il riflesso della lunga azione dei movimenti di cui Nichi è un esponente organico. In Puglia è stato premiato il suo dinamismo, in realtà la sua persona. Le primarie però non possono essere prese a modello per fare politica. In esse prevale una logica maggioritaria che mortifica i programmi. Il centrosinistra ora chiederà il conto. E il conto sarà sui contenuti. Fassino ha già detto che il timone del programma sarà riformista. Per questo motivo io sostengo che nessun accordo di governo può essere fatto. Dopo cinque anni di governo nella Gad, il Prc non potrebbe continuare ad essere un partito autonomo e credibile per gli sfruttati. La mia proposta è quella di un accordo politico-elettorale sulla base dell’accettazione di alcune discriminanti o in assenza di queste di un mero accordo tecnico-elettorale».
Il doppio passo di Bertinotti
Il segretario Bertinotti, da un anno a questa parte, ha deciso di scardinare gli stantii meccanismi di un partito ancora troppo burocratico e con piglio “americano” ha sparigliato le carte. Cancellazione di ogni residua nostalgia per il socialismo reale, teorizzazione della prassi non violenta, condanna “senza se e senza ma” per il terrorismo islamista e assunzione di responsabilità a divenire forza di governo. L’ondata antiberlusconiana è andata oltre qualsiasi previsione, è diventata senso comune. Si potrebbe addirittura sostenere che la vulgata contro il “regime” ha investito anche Fausto il quale, resosi conto che nessuna coerenza e purezza solitaria avrebbe retto all’urto, ha imboccato la via del doppio passo all’attacco. è entrato nelle contraddizioni del centrosinistra ed ha affondato il colpo, proponendosi come vero e unico interlocutore movimentista. Da qui nasce l’idea di accettare le primarie come metodo di scelta per il candidato premier. E da qui nasce la sciabolata nei confronti dell’area più critica dei Ds. Forzando un pensiero diffuso nel cosiddetto Correntone (“per vincere non bisogna obbligatoriamente spostarsi al centro, ma esprime un’identità forte, anche radicale), la candidatura di Vendola in Puglia è diventata “affare serio” e non pura testimonianza. Quasi un terremoto, un netto cambio di fase che lo stesso Bertinotti ha amplificato dichiarando, dalle pagine di Liberazione, che le elezioni in Puglia sono state «un fatto politico enorme che può cambiare la politica italiana».
Dopo la Puglia, con le primarie nazionali l’obiettivo di Bertinotti è ottenere credibilità e credenziali che vadano oltre il reale peso del Prc. A Rina Gagliardi, editorialista di Liberazione, Tempi chiede se il voto pugliese possa, in prospettiva, favorire l’aggregazione a sinistra. «Se intendiamo aggregazione come manifestazione di popolo la risposta è affermativa. In Puglia si è espressa chiaramente una tendenza inconciliabile con il passivismo di una certa sinistra. Se pensiamo però ad un’aggregazione formale io non credo che esistano le possibilità e non me lo auguro neppure. è certo che il popolo diessino è spaesato, smarrito. Ora Fassino, dopo lo schiaffo della Puglia, pretende di dettare legge. La sua arroganza è preoccupante. Ha fiutato che con le primarie Bertinotti può ottenere consensi e si permette di dire “no tu non ti devi candidare”. Le regole della democrazia non sono queste. Che a loro piaccia o no, la verità è che a sinistra si è aperta una partita che potrebbe cambiare tutto. I risultati non sono scontati, il caso Vendola non si riprodurrà in ogni luogo, ma noi la nostra battaglia la giocheremo fin in fondo. Bertinotti sfiderà Prodi alle primarie, indietro non si torna».
Il prosciugamento dei DS
Per Bertinotti l’abbraccio con l’ex democristiano Prodi sembra un dettaglio influente. Il moderatismo dell’ex presidente dell’Iri e l’assoluta povertà propositiva dei Ds, costretti in una morsa che li sta paralizzando, hanno consentito, infatti, al segretario del Prc di proporre alle sponde un’identità forte, determinata, in pratica un’alternativa all’esistente. In questa fase tattica il subcomandate finge di ignorare le sostanziali differenze con il resto degli alleati per giocare, in un secondo momento e da una posizione favorevole, la partita sull’intero impianto programmatico. Coloro che stanno soffrendo maggiormente questo nuovo protagonismo rifondarolo, rischiano ora di sbattere le ali senza alzarsi da terra. Dalle pagine del Riformista (19 Gennaio 2005) Emanuele Macaluso ha indicato la strada a Fassino: «Candidati alle primarie e fai valere il peso del tuo partito». Il direttore Antonio Polito dice a Tempi che «imporre a Prodi la candidatura in ticket con Fassino, questa sarebbe l’unica strada per calmierare le incertezze dei militanti diessini e ridare peso ad un partito che rischia di ridursi a portatore d’acqua. Il problema è che Prodi difficilmente avallerà quest’ipotesi, perché vedrebbe allontanarsi il segretario di Rifondazione. Non è possibile dire ora che non si vogliono le primarie. L’errore è stato commesso quando le si sono proposte. Le primarie in una coalizione di partiti hanno senso solo se servono per scegliere il candidato premier, ma visto che tutti erano già d’accordo su Prodi, che esigenza c’era di invocarle? Ora però non si può fare retromarcia e cadere nel ridicolo proponendo un candidato unico. è ovvio che riducendo la competizione a Prodi-Bertinotti, si rischia di consegnare al Prc un vantaggio spropositato. Gli elettori, molti militanti diessini ex comunisti, di fronte alla scelta tra un ex democristiano ed un ex comunista, darebbero il loro consenso a quest’ultimo. Ecco perché dico che per uscire da questo pantano senza rinnegare Prodi, l’unica via è proporre il tandem con Fassino».
LA RUSSA: “AN PER FORMIGONI”
Onorevole Ignazio La Russa, la telenovela infinita intorno alla “lista Formigoni” sembra finalmente giunta al termine?
Sono finite le ambiguità e credo che, nell’accelerare la soluzione, sia stato decisivo l’atteggiamento di Alleanza Nazionale che ha detto chiaramente che non era più disponibile ad accettare una situazione in cui una parte della coalizione stava metà dentro e metà fuori. All’indomani di questa nostra ferma presa di posizione con piacere abbiamo registrato la decisione di Bossi che, seppure con un linguaggio colorito, ha ribadito che la Lega era all’interno della Casa delle Libertà (Cdl) a prescindere da ogni ragionamento sui numeri, sui listini, sui presidenti e sulle liste. Contestualmente Formigoni, che aspettava questa dichiarazione della Lega per non essere tenuto sotto ricatto, ha potuto dire che rinunciava alla sua lista e a discutere sul listino. Per cui io credo che possiamo registrare con soddisfazione l’avvio di un processo di chiarificazione e di fine delle ambiguità. Un processo che deve proseguire. Noi, ad esempio, aspettiamo di capire se la Lega conferma che è nella Cdl non solo in Regione, ma anche nei comuni capoluogo di provincia in cui si vota e nei grossi comuni della provincia. E aspettiamo di capire che atteggiamento avrà nel Comune di Milano dove è uscita dalla maggioranza. Questa azione di chiarificazione che abbiamo avviato deve proseguire. Fa bene Formigoni a dire che bisogna fare “un passo alla volta”, ma abbiamo cominciato a camminare.
Eppure la Lega non sembra disposta a rinunciare ai suoi diktat. Nemmeno il tempo di gioire per il risultato ottenuto, che Calderoli mette in guardia gli alleati: niente terzisti in giunta e niente nome di Formigoni accanto al simbolo.
Che la Lega non metta il nome di Formigoni accanto al suo è una scelta che può fare, non è obbligatorio. Noi, al contrario, ci stiamo pensando seriamente. Per quanto riguarda la giunta la Lega può scegliere solo i propri candidati. Noi non abbiamo mai sindacato i loro nomi. Ognuno darà i propri nomi e poi ci sarà un ruolo di coordinamento generale che non spetta alla Lega.
Non le sembra che nella Cdl si stia ripetendo ciò che è accaduto nella Gad dove una minoranza tiene sotto scacco la coalizione?
Come si è visto no. Anche perché Alleanza Nazionale non lo consentirebbe. Noi stiamo lavorando per la coesione. La Cdl non è una caserma. Si discute, ma si trova sempre la sintesi. Non ci sono né servi, né padroni. Credo che alla fine la Cdl trovi sempre il punto di sintesi. Così succede nel Governo e così succederà anche in Regione.
Anche sul nodo delicato di un possibile allargamento ad altre forze?
Noi siamo favorevoli all’allargamento. Si discuta sulle forme dell’allargamento e non sul concetto. Non a caso siamo i promotori del “Comitato Lombardia eccellente” che mira a coinvolgere persone estranee alla politica.
Nicola Imberti