Molto influenti sugli sviluppi inattesi che potrebbe avere l’ondata di moti popolari per la democrazia nel mondo arabo sono due vicende che si stanno dipanando in queste ore: la notizia che due navi da guerra iraniane, per la prima volta dal 1979, hanno attraversato il canale di Suez e sono entrate nel Mediterraneo, e le proteste sciite contro il re sunnita del Bahrein Hamad bin Isa al-Khalifa. Entrambe le vicende testimoniano la volontà della Repubblica islamica dell’Iran di trarre il massimo guadagno in termini strategici dagli attuali sommovimenti politici nel mondo arabo. Il che equivarrebbe a dirottare i movimenti democratici su un terreno completamente diverso.
La Alvand e la Kharg sono una fregata e una nave di appoggio della Marina militare iraniana. Sono armate con missili, siluri e tre elicotteri. Da mercoledì si rincorrono voci sul loro imminente transito attraverso la via d’acqua artificiale che vede il passaggio del 40 per cento del traffico marittimo commerciale mondiale. Di volta in volta le autorità egiziane che amministrano il canale hanno dichiarato che non vi era alcuna richiesta di passaggio, che il passaggio era stato prima autorizzato e poi negato, che la richiesta era ancora in fase di valutazione presso il ministero della Difesa e infine che sono passate.
Indubbiamente la richiesta iraniana rappresenta un grosso grattacapo per i militari egiziani: i due paesi sono in pessimi rapporti dal 1979 a causa degli accordi di pace israelo-egiziani di Camp David, che l’Iran degli ayatollah considera un tradimento della causa palestinese. A Tehran una via della città è ancor oggi dedicata all’assassino del presidente Sadat che firmò quell’accordo. Il ministero della Difesa egiziano autorizzando il passaggio delle navi da guerra iraniane potrebbe aver formalizzato un cambiamento della politica estera dell’Egitto in senso anti-israeliano e messo a dura prova il rapporto del paese con gli Stati Uniti; se non lo avesse autorizzato, però, la leadership militare dell’attuale transizione politica egiziana sarebbe uscita ridimensionata agli occhi delle masse egiziane e arabe in generale, a vantaggio degli islamisti che fanno dell’intransigenza nei confronti di Israele uno dei caposaldi del loro programma.
Va notato che la notizia della missione navale è stata data una prima volta dall’agenzia di stampa iraniana Fars il 26 gennaio scorso, quando il presidente Mubarak era ancora in sella.
Altrettanto delicata la vicenda del Bahrein. Si tratta dell’unico paese a maggioranza sciita (70 per cento degli abitanti autoctoni, che sono meno della metà degli 1,2 milioni dei residenti attuali) della penisola arabica, ma ai posti di comando e soprattutto nelle forze armate e nella polizia si trovano soltanto sunniti. Re Hamad, discendente di una dinastia che governa la regione dal 1783, si fida talmente poco dei suoi sudditi che ha importato da Irak, Giordania e Pakistan meridionale centinaia di sunniti per farne soldati e agenti di polizia leali, e ad essi ha concesso la nazionalità bahreina. Dal 2002 il paese ha un parlamento e libere elezioni, che consentono a un partito sciita (al Wefaq) di detenere la maggioranza relativa nella Camera bassa, ma l’essenziale del potere è concentrato nella Camera alta, interamente nominata dal re. Al Wefaq si è ora unito alle forze extraparlamentari per animare le manifestazioni contro il governo.
L’importanza strategica della crisi sta nel fatto che più volte dirigenti iraniani hanno evocato l’annessione del piccolo paese (741 km quadrati) all’Iran, e che attualmente in Bahrein si trova la base navale della V flotta americana nel Golfo Persico. Cose da far tremare le vene al polsi.