Walter Veltroni Perché Walter Veltroni, quando deve spiegare che la sinistra ha mantenuto alcuni punti di riferimento che le vengono dalla sua storia dice: “Abbiamo tenuto delle bussole”? Perché quando deve informare che il prossimo congresso Ds dovrà definire una nuova base programmatica, parla di “un nuovo alfabeto della sinistra”? Perché queste scadenti metafore gli servono a sorvolare problemi pesantissimi e gli consentono, poi, tutte le giravolte possibili. Dal Kosovo alle pensioni. Veltroni un momento è un interventista scatenato, il secondo è pronto per una marcia ad Assisi; prima fa il sindacalista, e poco dopo si trasforma in un vagheggiatore della City. Problemi suoi, direte. No, perché Veltroni, pur con il suo linguaggio scadente, è un uomo di potere e quel che perde nel non essere capace di trasmettere ai suoi una visione coerente, lo recupera nell’esercitarsi a far fuori i suoi avversari con mezzi, diciamo così, “non dialettici”.
Beniamino Andreatta Devo confessarlo, Beniamino Andreatta mi è simpatico per il suo linguaggio diretto: “Sì, ho visto con il Sismi la lista Mitrokhin”, “Su Prodi non rispondo”, “Ho fatto l’atlantico quando era difficile”. In un mondo politico pieno di ipocriti, di imbroglioni, di “voglio ma non posso”, la prosa andreattiana, anche quando si accompagna ad atti tipici di una persona un po’ fuori di testa (vedi: l’andare a una mostra quando viene affondato dalla marina italiana un traghetto albanese e tu sei ministro della Difesa) rappresenta una ventata di aria fresca. Personalità come la sua, o come quella di Francesco Cossiga, in questa fase sono sprecate. Devono stare in una maggioranza dove Massimo D’Alema li svillaneggia, citando il loro maestro Aldo Moro e dicendo che “lui non fa processi in piazza”. E loro devono sostanzialmente abbozzare, anzi per ricavarsi un ruolo politico devono riempire di contumelie un po’ isteriche l’opposizione. È il dramma di chi crede ancora in un centro che non esiste più.