Sergio D’Antoni Sulla scena della politica italiana Sergio D’Antoni ha svolto spesso parti da attore brillante: c’è chi loricorda svolazzare nel ’94 un momento a rassicurare Gianni Letta (“La riforma delle pensioni del governo Berlusconi è una buona base di discussione”) un momento a preparare le manifestazioni che furono l’inizio della fine per il governo di centrodestra. Adesso teso e gonfio in volto sembra sostenere ruoli più drammatici: fare i conti con un sistema di egemonia della sinistra (sia pure non più comunista, ma solo post-comunista) non permette tanti svolazzi. D’Antoni ha fatto cose di rilievo: dal rilancio dei cattolici nel sociale alle sue scelte per la flessibilità. Mischiate a posizioni conservatrici come quelle sulle pensioni d’anzianità. La politica non è il suo forte: è arrivato perfino a puntare su Lamberto Dini. Ora è il momento della verità: se scommetterà su Francesco Cossiga, come sembra, si capisce già come finirà.
Pierluigi Castagnetti Ma interessa a qualcuno se il prossimo segretario del Ppi sarà Castagnetti, Franceschini, Castagnini o Franceschetti, Pierluigi C. o Dario F.? La sinistra cattolica si è giocata ormai tutte le carte: il sindacato cattolico è in balia del disprezzo dalemiano. Il grande filone cattolico di pedagogia dell’età infantile e dei maestri cristiani, per di più dalle radici spesso progressiste, si arrende a Luigi Berlinguer. La grande storia di un sistema di sanità vissuto grazie all’impegno religioso viene liquidata dall’ultrastatalismo di un ministro cattolico, di tendenza giacobindina. In questa situazione chi farà il segretario del Ppi non ha rilievo. Paradossalmente l’unica occasione per i popolari sarebbe stata la condanna di Giulio Andreotti: si sarebbero potuti così consegnare ai Ds come delinquenti pentiti. Ora, in fretta e furia, dimettono i berretti frigi da Philippe Egalité di quando lo consegnarono nel ’93 ai giustizialisti, e indossano parrucche e marsine da garantisti-nobili di Coblenza. È tardi.