
Il patto diabolico tra il colosso del cemento francese e i jihadisti

Parigi. È il 26 luglio 2012 quando Christian Herrault, vice direttore generale della multinazionale francese Lafarge, leader mondiale del cemento, invia una mail a due dei suoi collaboratori intitolata “Syrie”. Il paese guidato da Bashar al-Assad è sconvolto da una violenta guerra civile, l’autoproclamato Stato islamico inizia a radicarsi, a reclutare combattenti, a seminare il terrore, e l’ambasciata francese a Damasco ha chiuso le sue porte. Una domanda tormenta Herrault e tutto l’apparato dirigenziale di Lafarge: restiamo o ce ne andiamo da questo inferno come ha fatto Total a fine 2011?
Il patto di Lafarge con i terroristi dell’Isis
Herrault, che era anche l’amministratore delegato della filiale siriana di Lafarge (situata tra Raqqa e Kobane), decide alla fine di restare. Ma in che modo? Scendendo a patti con i jihadisti a suon di milioni di euro. Una nuova inchiesta del giornale online Mediapart racconta nei dettagli, sulla base di documenti inediti, lo scandalo della multinazionale francese Lafarge che, pur di mantenere le sue attività in Siria, ha lautamente finanziato il terrorismo islamista: quello che nel 2015 ha commesso stragi al grido di “Allahu Akbar” per le strade di Parigi, a Charlie Hebdo e al Bataclan. «La storia di Herrault con la Siria riassume la storia di tutto il gruppo in questo affaire», scrive un ufficiale della dogana francese e membro del Servizio di inchieste giudiziarie delle finanze (Sejf) in una relazione di sintesi consultata da Mediapart.
Secondo il documento, composto di 62 pagine e risalente a fine novembre 2020, «i dirigenti di Lafarge si erano abituati a un ambiente che si stava progressivamente degradando, a tal punto da mettere in pericolo la vita della società e dell’intero gruppo (…). In due anni, nonostante i potenziali rischi di restare in un paese in guerra in preda a dei gruppi armati, la direzione di Lafarge ha fatto di Daesh un fornitore come gli altri». Sempre secondo lo stesso rapporto rivelato in esclusiva da Mediapart, «nonostante la fabbrica fosse accerchiata da Daesh, i servizi diplomatici fossero tutti chiusi e i rischi fossero altissimi nelle strade, e nonostante tutti gli aeroporti fossero inagibili e i posti di frontiera con la Turchia regolarmente bloccati, la fabbrica di cemento continuava a funzionare e Lafarge pagava dei terroristi per proteggere il suo sito industriale».
L’ammissione dei pagamenti fatti all’Isis
I risultati della relazione di sintesi, così come le inchieste dei magistrati, hanno portato all’incriminazione di Lafarge per “complicità in crimini contro l’umanità” e di diversi dirigenti dell’azienda per “finanziamento del terrorismo”. Lo scorso ottobre, Lafarge si era dichiarata colpevole di aver versato quasi 17 milioni di dollari allo Stato islamico e al gruppo salafita Fronte al-Nusra per mantenere in funzione il cementificio in Siria, accettando di pagare la multa di 778 milioni di dollari che le era stata imposta dalla giustizia statunitense. Come ricostruito dai giudici, i pagamenti sono stati effettuati da Lafarge dall’agosto 2013 all’ottobre 2014, in un periodo in cui l’Isis e il fronte salafita compivano regolari rapimenti e attentati.
«Nel mezzo di una guerra civile, Lafarge ha fatto la scelta impensabile di mettere i suoi soldi nelle mani dell’Isis, una delle organizzazioni terroristiche più barbare del mondo, in modo da poter continuare a vendere cemento», ha dichiarato in autunno il procuratore americano Breon Peace, per il quale Lafarge ha agito «non solo in cambio del permesso di gestire il suo cementificio, ma anche per sfruttare il suo rapporto con l’Isis a vantaggio economico, cercando l’assistenza del gruppo jihadista per danneggiare la concorrenza».
Pronti a «condividere la torta» con i jihadisti
L’inchiesta di Mediapart, oltre a confermare l’ignobile condotta del gigante del cemento francese, porta a galla il contenuto di una mail dove l’ex vice direttore generale, Christian Herrault, dice che Lafarge è pronta a “condividere la torta” con lo Stato islamico. «Per me, la “torta” significa “profitto”», si legge nella mail. Pur di fare soldi, di far funzionare a pieno regime l’impresa, tutti i clienti erano buoni, anche i terroristi. Ma nel dossier del giornale francese, c’è di più. La sussidiaria di Lafarge in Siria è stata “sfruttata” anche dall’intelligence esterna di Parigi, la Dgse, come base per raccogliere informazioni importanti sulla guerra.
«I servizi segreti hanno agito per opportunità e hanno approfittato dell’occasione per avere occhi e orecchie su un campo disertato dagli occidentali», si legge nel rapporto del Sejf. Insomma, il patto diabolico di Lafarge con i jihadisti conveniva anche ai servizi francesi per avere una base di spionaggio da una posizione privilegiata, che i loro colleghi occidentali non avevano. Il 19 settembre, la camera criminale della Corte di cassazione darà il suo parere definitivo sulla persona giuridica Lafarge S.A. per “complicità in crimini contro l’umanità”.
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