Non a tutti è andata giù la storia di Francesco Ederle, l’uomo morto dopo 24 anni e 7 mesi di coma alla fine di dicembre, pubblicata dal Corriere del Veneto. A colpire sono state le parole del figlio Giovanni, di 26 anni, che quando il padre ebbe l’ictus aveva solo 2 anni: «Faccio quello che avrebbe fatto lui….», ha dichiarato in risposta a chi gli domandava come facesse alla sua età a condurre un agriturismo dove ha piantato olivi, vigne e dove alleva galline e oche. «Di lui ho tutto questo, il suo amore per la terra e per gli animali (…) Più di qualcuno mi ha chiesto in questi anni come si vive con un papà così. E se ho mai pensato che sarebbe stato meglio se fosse morto prima». «No», ha sempre risposto il giovane, perché «quella con lui è stata un esperienza impagabile. Se non ci fosse stato non avrei imparato tante cose». A Giovanni e a sua sorella Camilla per crescere forti sono bastati i racconti e quel padre che voleva vivere anche così, insieme a una madre e una nonna dalla fede rocciosa.
CRITICHE OFFENSIVE. Nei giorni successivi sono giunte al quotidiano molte lettere e commenti. Alcuni molto violenti e critici con accuse alla famiglia di fondamentalismo e di crudeltà. In molti si sono spinti a chiedere la legalizzare l’eutanasia per evitare fatti simili. Per questo, il 6 gennaio, Giovanni e Camilla hanno voluto ribattere, «per farvi sapere che qualche commento ha saputo ferire». Innanzitutto hanno chiarito la condizione del genitore: «Nostro padre respirava da solo, si nutriva tramite Peg, veniva manipolato ogni giorno per evitare i problemi tipici degli allettati, veniva messo ogni giorno sulla carrozzina e con il bel tempo veniva portato all’aria aperta». Questo è stato possibile per la cura e l’amore della famiglia e di molti altri amici che sono cresciuti negli anni attorno a Francesco e ai figli: «Non ci hanno mai fatto mancare nulla – continuano i ragazzi – inteso in senso affettivo e non in senso puramente materiale».
Parlando a quanti hanno fatto i conti in tasca alla famiglia, i ragazzi hanno sottolineato che «sono state vendute cose, case e terreni per far sì che nostro padre potesse rimanere in casa e ringraziamo Dio, o chiunque voi preferiate, perché ciò sia stato possibile poiché per nostra nonna passare ogni giorno accanto a suo figlio è stata la vita».
FATTI PIU’ CHE TEORIE. I due fratelli hanno poi risposto a chi li ha chiamati fondamentalisti cattolici parlando della loro madre che «ha riposto nella sua fede tutti i dispiaceri ed è diventata la persona più serena che conosciamo (…) da questo modo di affrontare la realtà entrambi abbiamo imparato moltissimo». Non solo, «tutto l’amore che ho imparato da mia nonna, da mia madre e da tutte le persone che si sono strette intorno a noi non è qualcosa di attribuibile ai soli cattolici praticanti. Tutti dovremmo trovare una nostra serenità che ci aiuti ad affrontare i problemi della vita. Se questa serenità arriva riponendosi in Dio, bene. Se arriva grazie all’esempio di chi è sereno, bene».
E anche se «nessuno vuole per i propri cari dolore, tristezza e sofferenza. Però la nostra testimonianza è che anche in una situazione così disastrosa sono germogliate tutta una serie di situazioni secondarie che hanno portato a tanto amore, tanto approfondimento di noi stessi, tanto rispetto per la vita umana. Una vita vissuta diversamente ma sempre una vita». Perciò, hanno concluso Giovanni e Camilla, «non si vuole convincere nessuno», ma «questo scritto è testimonianza di serenità e amore. Punto».